GHANA

Dopo aver visto a Cuba il segno indelebile portato dagli schiavi africani ancora oggi ben visibile nella vita dei cubani, ero curiosa di conoscere meglio i luoghi da cui tutto questo era iniziato  e per questo ho intrapreso un viaggio in una zona dell’Africa dove il ricordo della tratta degli schiavi è ancora molto vivo. Il viaggio abbraccia tre paesi, il Ghana, il Togo e il Benin che si affacciano sul golfo di Guinea con popolazioni e ambienti diversi fra loro ma con radici comuni.  E’ da qui che molti degli schiavi sono partiti per le Americhe ed è qui che ancora è viva in  gran parte della popolazione la religione degli antenati, il Vudù.

Accra

Dei tre paesi visitati il Ghana è quello che gode di una certa stabilità e ricchezza per cui è abbastanza semplice visitarlo. Ci si arriva atterrando ad Accra, la capitale, che é la città più popolosa ed il centro amministrativo, economico e delle comunicazioni dell’intero Paese. Conserva una serie di edifici pubblici che testimoniano periodi coloniali sfarzosi che ora si alternano a moderni edifici commerciali. 

Jamestown

Ma basta spostarsi nella parte più vecchia della città, Jamestown, il porto, per respirare l’atmosfera dell’africa più autentica. Scendendo tra i vicoli dove c’è un bel mercato di artigianato, si incontrano i resti di vecchie case coloniali, zone per l’affumicatura del pesce che sembrano gironi infernali e poi ci si affaccia sul porto.

Jamestown

La vista è impressionante. Ricorda subito una bolgia dantesca: è un groviglio di baracche di lamiera, bancarelle di vendita del pesce e fogne a cielo aperto tra le quali si muove una miriade di gente indaffarata e non. Sul molo, brulicante di barche, pescatori e animali di ogni genere, giocano bambini sporchi e stracciati con volti bellissimi decorati da moccoli da record. 

Bare fantasy

Uscendo dalla città ci fermiamo per vedere una delle cose più strane che io abbia mai visto: le bare personalizzate del Ghana (per chi vuole approfondire https://it.wikipedia.org/wiki/Bara_personalizzata_del_Ghana), chiamate anche bare fantasy. Fanno parte di una tradizione legata alla religione dell’etnia dei Ga che abitano nella regione della Grande Accra, che vede questi strani manufatti come tributo al defunto per accattivarsi la protezione degli antenati. Come vedremo in seguito la base della religione vudù è il culto degli antenati e la maggior parte dei riti è propiziatoria a questo mondo. 

Le dimensioni, la sagoma e la forma di queste bare  richiamano spesso la professione del defunto in vita o particolari legati a ciò che gli piaceva e   sono destinate ad aiutarlo a proseguire la sua attività anche nell’aldilà. Rimango sbalordita dalle bellissime bare a  forma di pesci, di uccelli, di frutta e verdura e persino, le più recenti, a forma di telefonino, di aereo o bottiglie di birra. Sono vere e proprie opere d’arte!

Elmina

Dirigendoci verso est lungo la costa si raggiunge Elmina, luogo tristemente famoso per la tratta degli schiavi. Il paese ora è un paese di pescatori, ma è stato  una delle più fiorenti basi commerciali prima portoghesi e poi olandesi  in tutta l’Africa.  Nelle sue viuzze si incontrano  santuari Posuban (case fortificate) che servivano per difendere la città tramite feticci rappresentanti, a grandezza naturale, uomini bianchi, uomini neri, animali, navi ed altri oggetti. Proprio i portoghesi costruirono qui un castello usato prima per il commercio delle merci e poi per quello degli schiavi: il Castello di San Giorgio.

La visita al castello è estremamente interessante, ma anche inquietante e dolorosa. Gli schiavi venivano  condotti qui dalle regioni interne del paese dagli schiavisti (fa riflettere che fossero appartenenti alle etnie più potenti della zona che, armate da europei senza scrupoli, soggiogavano le tribù più deboli e vendevano i nemici come schiavi come in fondo succede oggi con chi vuole attraversare il mediterraneo). 

Vedere le celle di detenzione dove venivano ammassati con le catene ai piedi in attesa delle navi che li avrebbero portati lontani dalla loro terra e poi il cortile dove venivano esposte le donne per essere scelte dal capitano è stato un pugno nello stomaco. E poi percorrere il tratto che con le catene ai piedi fino alla “Porta del non ritorno” da dove scendevano sulla spiaggia per essere stipati nelle navi. Per almeno sette anni da qui passarono circa trentamila schiavi all’anno. In una stanza del castello corone di fiori con coccarde e frasi di ricordo lasciate dagli afroamericani che vengono a conoscere i luoghi da dove i loro antenati sono partiti. Non si può non rimanere sconvolti dall’atmosfera di questo forte e non si può non pensare a quello che noi europei abbiamo fatto e ancora continuiamo a fare, anche se in modo diverso, a questo paese. 

Uscendo dal forte ci immergiamo nel porto brulicante delle barche dei pescatori che a migliaia vengono a scaricare il pesce che viene venduto dalle donne nel mercato adiacente. Gironzoliamo tra i banchi del pesce per un po’: è affollatissimo e piuttosto impegnativo per la  puzza dovuta al pesce esposto sotto un sole cocente. Ma i colori, le urla delle donne per richiamare l’attenzione, le corse dei bambini tra i banchi danno una tale carica di energia che ci fanno dimenticare i cattivi pensieri della visita al castello e ci fanno pensare che nonostante tutte le barbarie dell’uomo la vita va avanti. 

Kumasi

Lasciamo Elmina e ci dirigiamo nell’interno salendo verso nord per raggiungere Kumasi, la seconda città del Ghana, capoluogo della regione Ashanti. La regione prende il nome dall’etnia che la popola, gli Ashanti, e che proprio a Kumasi hanno la sede del loro regno. Qui risiede il sovrano Ashanti attuale che ha sì un ruolo simbolico, ma molto importante per questa etnia. 

dig

Lungo la strada che dalla costa sale nell’interno incontriamo piantagioni di cacao e di palme dove gruppi familiari producono in maniera veramente artigianale olio, sapone e grappa dalle palme. Ci fermiamo per vedere e farci spiegare cosa fanno. Nei volti si legge tutta la fatica quotidiana per ottenere in situazioni veramente malsane prodotti da cui ricavare qualcosa.

A Kumasi visitiamo il palazzo reale di cui una parte è convertita a museo e dove si possono ammirare arredi e mobili dell’antico palazzo del re. II re è un personaggio molto potente qui, la successione al trono avviene per linea materna e la mamma del re è altrettanto importante. Una volta alla settimana il re esce dal palazzo, seduto su un trono d’oro sopra una portantina carico di gioielli in oro con simboli della tradizione e tutti i capi delle varie tribu si inchinano al suo passaggio. Sembra una cosa d’altri tempi, ma l’impressione è che per la popolazione sia molto importante come legame tra il passato e l’odierno Ghana.

Ma se volete sentire l’atmosfera di questo popolo dovete immergervi nel mercato di Kumasi, il Kejetsa Market, il più grande mercato dell’Africa occidentale (più di 15000 bancarelle!!). È un vero casino che si estende a vista d’occhio. Inizia già nelle strade adiacenti e poi piano piano ci si immerge in un dedalo di stradine strette che si insinuano tra banchi stipati, gente che porta enormi balle di merce sulla testa e una ressa incredibile. Però è ricco di merce di ogni tipo, colori e umanità varia e allegra che ci saluta, ride di noi, si mette in posa per una foto o balla al suono delle  musiche ritmate che ci accompagnano ovunque.

Funerale Ashanti

L’esperienza più incredibile la viviamo alla periferia di Kumasi dove la nostra guida ci porta ad assistere ad un funerale Ashanti. Per farlo ha dovuto contattare il capo ashanti della zona e i parenti del defunto che ci hanno dato il permesso di assistere. Siamo incuriositi, ma non ci immaginavamo certo una cosa del genere! La cerimonia si svolge in uno slargo tra le case dove è stato allestito un enorme gazebo con i colori rosso e nero. E’ già pieno di gente, tutti vestiti di rosso, i familiari, e di nero, gli amici, con abiti bellissimi e acconciature incredibili e in pratica si commemora una signora che è già stata seppellita. Questa è la cerimonia che si fa dopo per renderle onore. 

Partecipano anche i capi della comunità all’ombra di enormi ombrelli neri. Ma la cosa più incredibile è sicuramente la musica; c’è un gruppo di suonatori di tamburi che suona in continuazione e le persone, compresi i familiari, danzano davanti alla foto della defunta. È tutto veramente allegro e gioioso, non un momento macabro e di pianto, ma una cerimonia che la famiglia effettua per accompagnare l’Okra nel suo viaggio verso il mondo degli antenati! Veniamo presentati ai parenti e ai capi della comunità e ci immergiamo in questa festa incredibile osservando la grazia con cui si muovono signore piuttosto in carne fasciate in abiti vistosi e ascoltando una specie di annunciatrice che ogni tanto nomina qualche amico o parente che è arrivato e ha fatto una donazione.    Tutto incredibile!! 

Verso il Togo

Lasciata Kumasi ci dirigiamo verso est per raggiungere la frontiera con il Togo. Durante il tragitto però facciamo un paio di soste. La prima a Koforiddua per vedere come avviene la costruzione delle perle di vetro che vengono usate dall’etnia di questa zona, i Krobo, per le feste di iniziazione, per i culti o per l’abbellimento estetico. In pratica si ricava la polvere di vetro dalle bottiglie o da altri scarti che vengono sbriciolati e poi la polvere viene inserita in stampi, scaldata e decorata; ci lavorano famiglie intere. La tradizione delle perle di vetro risale a tempi antichi, ma è stata poi intrecciata al commercio europeo e persino a quello veneziano (se volete capire meglio https://correr.visitmuve.it/it/mostre/archivio-mostre/l%E2%80%99avventura-del-vetro-un-millennio-d%E2%80%99arte-veneziana/2011/10/5779/le-perle-di-vetro/).  Naturalmente faccio acquisti! 

Attraversiamo molti villaggi e campagne e ci fermiamo in uno più grande dove si tiene un mercato di frutta e verdura splendido.

Le venditrici sono tutte donne che scherzano, ridono tra loro  e ogni tanto si alzano dalla loro bancarella e cominciano a ballare alla musica che non manca mai.

Un’atmosfera ancora una volta splendida e un insieme di colori, suoni e calore umano incredibile.

Poi arriviamo sulla riva del fiume Volta che fa praticamente da confine con il Togo……ma vi racconterò delle abitazioni fortificate di Le Corbusier e dei feticci vudu’ nel prossimo articolo…

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