Siamo sincere.
Non c’è Lady Gaga che con il suo Meat Dress (l’abito di carne) agli MTV Video Music Awards del 2010 ci scandalizzi. Se sei nata negli anni ’80 ed eri adolescente negli anni ’90 ciò che ha sconvolto la tua idea di estetica pop, arte e creatività è stata solo lei: Grace Jones.

Inarrivabile trasformista, cantante, attrice, modella, Grace Jones è entrata nelle camerette di tutte noi che nei suoi anni ruggenti frequentavamo le medie.

Non dimenticherò mai il mio primo incontro con lei: ne Il principe delle donne” con Eddie Murphy e Halle Berry (Boomerang, 1992) interpreta Helen Strangé, una cliente stravagante, iraconda e mangia-uomini.

Erano gli anni ’90. I film iniziavano alle 20.30 e i bambini di dieci anni guardavano la tv con le mamme e i papà (e le telenovelas del pomeriggio con le nonne) senza bollini colorati e senza parental control.
Film, serie tv e anime giapponesi entravano direttamente nelle case di milioni di persone influenzando forse inconsapevolmente l’estetica di tanti ragazzi e ragazze che dopo aver visto esibirsi un’artista come Grace Jones avrebbero alzato per sempre l’asticella del gusto e dell’arte.

La storia di Grace Jones

Gli esordi

Nata in Jamaica, Grace Jones inizia ben presto la sua carriera come modella a Parigi sfilando per KenzoYves Saint Laurent e lavorando con fotografi del calibro di Helmut Newton, Hans Feurer e Guy Bourdin.
Eppure non è una modella tradizionale, non è un’indossatrice/manichino a beneficio dello stilista di turno: basta guardarla mentre sfila in passerella con la sua falcata da pantera nera per rendersi conto che qualunque cosa abbia indosso diventi un dettaglio secondario.

Rientrata a New York, la sua carriera inizia nei club di disco music newyorkesi di fine anni ’70: lo Studio 54 frequentato dalle più grandi icone della musica, della moda, dell’arte e dello star system diventa il suo palcoscenico d’elezione così che quando pubblica i primi dischi fatti di grandi tributi alla musica attraverso cover in chiave disco, il successo di pubblico abituato a frequentare i nightclub newyorkesi è immediato.

Per il resto del mondo, invece, è solo una bella sorpresa. Oltre alla prorompente immagine che marchia a fuoco i suoi video e le sue esibizioni dal vivo, Grace Jones si conferma una cantante atipica, fuori da ogni schema. Forse unica nera al mondo a non avere una voce soul e unica giamaicana a non adottare il reggae come stile personale.

Andy Warhol cura le copertine dei suoi album, Keith Haring dipinge un drappo bianco durante un’esibizione che la Jones indosserà come gonna. Le sue performance dal vivo in questo periodo non sono certo facili da dimenticare. Sono anni di interminabili e folli feste in discoteca, sperimentazioni e forti trasgressioni sessuali.
Grace Jones forgia la sua immagine di sensuale e spaventosa “mangiatrice di uomini”. Si presenta seminuda sul palco con una frusta in mano e tra una canzone e l’altra “cattura” i malcapitati delle prime file spogliandoli di fronte a tutti.

I primi anni ’80

Andy Warhol, Grace Jones e Keith Haring a New York nel 1986.
(Photo by Vinnie Zuffante/Michael Ochs Archives/Getty Images)

Il 1980, anno di pubblicazione di Warm Leatherette, rappresenta un notevole cambio di direzione e d’immagine e un discreto salto in avanti per la sua carriera musicale.

La scelta degli studios, dei produttori, del suono del suo progetto consacrano la Jones nell’olimpo delle santità elettroniche di quegli anni insieme a David Bowie e Iggy Pop e consegnano per sempre al mondo la preziosissima “I’ve Seen That Face Before (Libertango), una rivisitazione del classico tango di Astor Piazzolla, con una splendida atmosfera che farà scuola negli anni a venire.

Con l’enorme successo di critica e pubblico raggiunto a livello mondiale arriva anche un tour che verrà chiamato con ironia “The One Man Show”. Abbandonato il periodo sado-maso degli spettacoli precedenti, Grace Jones “ha affinato ormai appieno la sua vocalità e con la sua presenza magnetica si impone sul palco come una carismatica interprete che passa con disinvoltura da raffinata chanteuse a sguaiata rockstar senza freni” (per approfondire la sua storia musicale e discografica, vi segnalo questo articolo di OndaRock).

I suoi continui flirt con l’alta moda le regalano dei vestiti scultorei che solo il suo corpo può indossare, la sua silhouette è inconfondibile ed è parte integrante delle sue performance, il suo corpo un tempio e le sue performance mescolano corpo e voce, l’uno espressione dell’altra e viceversa.

Sono anni molto intensi per Grace Jones che diventa anche madre e pubblica cinque dischi in cinque anni, ai quali si aggiungono concerti, apparizioni televisive, incursioni nel cinema, nella moda e un discreto uso di alcol e droghe.
La sua carriera sembra al suo picco.

Recita al fianco di Arnold Schwarzenegger in “Conan il Distruttore” (1984) interpretando il ruolo della guerriera Zula, ultima sopravvissuta della sua tribú; diventa la spia-killer May Day in 007 – Bersaglio mobile (1985), l’eclettica testimonial Helen Strangé (il film che l’ha consacrata icona pop nel mio immaginario adolescenziale) ne Il principe delle donne (1992) e soprattutto la regina dei vampiri nel cult Vamp.

Dopo le numerosi incursioni in cinema e tv, nessuno si aspettava il suo ritorno alla musica con un’ulteriore opera così diversa dalle precedenti e davvero sopra le righe eppure nel 1985 pubblica Slave To The Rhythm. Il successo di pubblico che otterrà (passando il milione di copie vendute) è emblematico della popolarità raggiunta da Grace Jones in quel periodo che consegna al mondo il suo lavoro più ermetico e meno orecchiabile di sempre.

Grace Jones al Public Theater Benefit Celebration of “Radiant Baby”, il musical di Keith Haring con Grace Jones.
(Photo By Bruce Glikas/Getty Images)

Fine anni ’80

Gli ultimi anni della decade 1970-1980 segnano però la fine dei club newyorkesi, della libertà sessuale, dello sdoganamento dell’amore omosessuale aprendo al periodo più cupo e più angosciante quasi in contrapposizione al luccichio della coloratissima scena artistica di quegli anni: arriva l’HIV e si apre una stagione di angoscia e di dolore che trova il suo culmine nella morte di Freddy Mercury.

Nei due dischi di Grace Jones del periodo – Inside Story (1986) e Bulletproof Heart (1989) – quella commistione di musica, arte, moda e teatralità che l’aveva resa celebre aveva bisogno di trasformarsi ancora, ma non era ancora chiaro quale fosse la direzione giusta da seguire. 

Segue per Grace Jones un periodo piuttosto difficile, in cui sarà anche costretta a dichiarare bancarotta e sembra che la sua carriera sia giunta al capolinea.
Il suo capolinea dura quasi vent’anni.

Per tutti gli anni 90 Grace Jones preferisce infatti dedicarsi ad altro o a tratti scomparire del tutto dalle scene.
Nel 2002 solca il palco di Pavarotti&Friends e nel 2008 rompe il silenzio con un nuovo esplosivo album, Hurricane.

2018 – Il documentario sulla sua vita

Nel 2018 arriva nelle sale “Grace Jones: Bloodlight and Bami’, un viaggio attraverso la carriera pubblica e la vita privata dell’icona che continua ad affascinare tutti a distanza di decenni.
L’estetica di Grace Jones emerge nel docufilm grazie all’attento lavoro delle regista Sophie Fiennes che accosta sequenze musicali, riprese più intime e materiale personale.

Il documentario è stato in lavorazione per ben sette anni e la doppia anima, pubblica e privata, della nostra diva viene fuori chiaramente ed è già contenuta nel titolo. Infatti la “bloodlight” è la luce che indica l’on air per gli artisti mentre il bami è un cibo tradizionale giamaicano (una focaccia fatta con farina di manioca).

Per chi, come me, ritrova un po’ (ma poco) di Grace Jones in Lady Gaga, Madonna o Rihanna, il documentario è un’opera imperdibile.
Per capire più profondamente cosa si nasconde dietro un’artista ma per capire anche (forse) perché sia così difficile sorprendere artisticamente noi ragazze degli anni ’90.

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7 thoughts on “Grace Jones, l’inarrivabile icona pop”

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