Forse la tua storia non ha un inizio tanto felice, ma non è questo a renderti ciò che sei. E’ il resto della tua storia. Chi tu scegli di essere”.

Questa citazione dal magnifico film d’animazione Kung Fu Panda 2, si adatta perfettamente alla mia vita.

Sono nata troppo presto, o troppo di corsa, quasi 39 anni fa, in un piccolo ospedale in provincia di Varese.

La mia famiglia dice che avevo proprio fretta di nascere per scoprire il mondo, ma alla fine ci ho rimediato 2 mesi di ricovero in ospedale e mi hanno fatto tornare a casa giusto giusto prima di Natale e con una bella etichetta addosso, un po’ come quei cartoncini che mettono sulla culla quando nasci in ospedale, sul mio oltre ad aver messo una “H” in più nel nome, ci hanno messo il sottotitolo, in piccolo: “paralisi cerebrale infantile”.

A dir la verità ci ho messo qualche anno a capire cosa volesse dire, più o meno quando è stato chiaro che gli altri bambini potevano correre, saltare, giocare a nascondino o a “un due tre stella” e io no.

Ma come ho scritto in apertura, non è l’inizio in salita che conta, ma tutto il resto del percorso.

Non mi piace molto guardarmi indietro, perché c’è molta sofferenza, tristezza e anche rammarico, perché molte cose, col senno di poi, forse le avrei fatte diversamente, ma a chi non capita di sentirsi così almeno una volta?

Foto di una “piccola me” con il mio papà, al mare.

Se devo però descrivermi con semplici parole a chi non mi conosce, direi che io scelgo sempre, volontariamente, o più spesso, involontariamente, la strada più tortuosa, difficile, ma anche quella più interessante.

D’istinto sono sempre stata la ragazza delle scelte “strambe”, difficili, quelle contestabili in maniera oggettiva, che ben pochi riuscivano a capire, come per esempio iscrivermi al liceo artistico pur avendo una disabilità motoria e una tetraparesi spastica ( la quale influisce anche sulla motricità fine delle mani). Mi sono diplomata nel 2002 e, venti anni dopo, ancora disegno per passione e per mia figlia di 5 anni e mezzo.

Disegno per mia figlia, ispirato al personaggio di Luca del film animato Pixar ”Luca”

Dopo il liceo c’è stata l’università e anche qui c’era il dubbio che non ce la facessi e che fosse troppo pesante frequentare le lezioni e vivere una vita da pendolare fuori sede. Eppure anche qui ho percorso il mio personale sentiero e mi sono laureata in triennale in filosofia con il massimo dei voti.

Ovviamente, ai più tutti, questi traguardi non diranno niente: sono il coronamento di un percorso di studi e di impegno ma, se a tutto questo ci aggiungete un diffuso abilismo e pregiudizio, capirete che riuscire a barcamenarsi senza lasciare che la disabilità, o per meglio dire la società che è “disabilitante” ti ostacoli è un’impresa.

20 febbraio 2009, il giorno della mia discussione di tesi in Filosofia

Il percorso più difficile è arrivato quando ho deciso, come tante altre donne innamorate, di sposarmi.

Conosco mio marito da vent’anni, dall’ultimo anno del liceo. Un’anima gemella, un incontro fortuito, destino, non saprei dirlo ma siamo stati insieme da più della metà della nostra vita e abbiamo costruito il nostro nido non senza intoppi.

Il primo, e più grande ostacolo è stata la famiglia: i genitori non erano molto entusiasti del nostro rapporto, convinti che non sarebbe durata, ma poi nel 2016 dopo 15 anni insieme e innumerevoli viaggi, discussioni e compleanni festeggiati insieme, scopro di essere incinta, così abbiamo organizzato un matrimonio molto “easy” in soli 2 mesi e mezzo. E ci siamo sposati il 23 luglio 2016 in tre, mio marito, io e nostra figlia nella mia pancia.

Sposata, incinta di 16 settimane, avrei dovuto essere felice, peccato che, sempre per un pregiudizio medico e abilista abbia passato la gravidanza a sentirmi sbagliata e incosciente, perché la mia ginecologa sosteneva, e credo sostenga ancora, che con una disabilità motoria come la mia non avrei potuto affrontare un parto naturale, ma come ho detto, io sono testarda e credo nelle mie intuizioni, quindi ho sempre sostenuto che avrei desiderato avere un parto naturale e non un cesareo programmato se non ci fosse stata necessità.

Dopo numerose frasi abiliste e offensive della ginecologa in questione, finalmente decido di cambiare ospedale e mia figlia nasce il giorno di Natale del 2016 con un parto naturale in un ospedale “amico del bambino” e direi anche “della mamma”. Fatto sta che, ad oggi, credo di essere l’unica donna con paralisi cerebrale Infantile ad aver scelto “come” partorire e ad aver rifiutato un protocollo inutile e applicato a tutte senza distinzione.

Lo staff medico dell’Ospedale dove è nata nostra figlia, io, mio marito e la bimba

Presto vorrei anche diventare una “mamma alla pari” in allattamento materno, perché anche su questo versante c’è poca informazione e supporto alle donne e alle neo-mamme ed è praticamente inesistente il sostegno per le neo mamme disabili che desiderano allattare al seno il loro bambino.

Io ho allattato a termine mia figlia e ho capito quanto sia importante avere il giusto supporto non sono prima del parto, in gravidanza, ma soprattutto dopo, e che molte cose si possono fare e realizzare, ma ci vuole una “rete” di persone e da soli è sempre molto sfiancante, perché bisogna combattere lo stigma su più fronti.

Il logo di ”DisabilmenteMamme”, creato da me per il nostro progetto/associazione

Porto avanti la mia battaglia e la divulgazione sulla maternità e disabilità da allora. Nel 2016 ero sola, ora siamo diverse mamme a sensibilizzare le persone sulle possibilità e diritti di chi vuole essere madre e desidera avere una famiglia e una vita indipendente. Per questo nasce il progetto “disabilmentemamme”, sperando che sempre più le persone, i medici e tutti coloro che si interfacciano con la disabilità, capiscano che dall’altra parte ci sono persone. Persone  come tutte le altre, che meritano rispetto e attenzione e soprattutto che vengano credute e ascoltate nelle loro esigenze e istanze.

Samanta Crespi

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