Qualche anno fa ho visitato una delle più belle isole al largo delle coste dell’Africa: il Madagascar, un’isola dell’Oceano Indiano collocata di fronte alle coste del  Mozambico . Abbiamo deciso di vedere la parte meno turistica ma più autentica anche se sapevamo che sarebbe stato un viaggio  difficoltoso per le condizioni delle strade .

Lungo la strada rN7
Lungo la RN7

Purtroppo il viaggio inizia male perché arriviamo  nella capitale, Antananarivo, a notte fonda con la spiacevole sorpresa di non avere il bagaglio che pare sia rimasto a Parigi. Poco rassicurati dalle promesse sul suo arrivo nei giorni successivi iniziamo comunque il nostro viaggio  salendo su un fuoristrada piuttosto “datato” e attraversando la città per andare a prendere la route RN7. Antananarivo  sembra essere un enorme mercato. Le strade che la attraversano, piene di gente e di bancarelle che vendono ogni cosa, salgono e scendono tra  colline e corsi d’acqua. In pochi attimi piombiamo nella realtà già vista in Africa molte volte: povertà, colori, caos e luce vivissima.

Verso Bekopaka

Appena fuori dalla capitale iniziamo a scendere verso sud tra le risaie e i campi coltivati dove tutti lavorano manualmente zappando campi, costruendo mattoni, spingendo carri stracarichi o portando enormi pesi sulla testa. Attraversiamo piccoli villaggi di case rosse, vallate coltivate a terrazze e mercati di frutta e verdura. Ad un tratto, mentre percorriamo un tratto in salita, sentiamo uno scoppio e ci rendiamo conto che è esplosa una delle ruote posteriori. Beh che dire! Questo viaggio si prospetta un po’ critico! Ma non è finita. Quando Beans, la nostra guida autista, si mette a cambiare la ruota si  rende conto che la chiave che ha in dotazione non va bene per questi bulloni. Così iniziamo a fermare tutte le macchine che passano (non molte in verità) per vedere se hanno una chiave giusta e dopo un’oretta riusciamo finalmente a cambiare la ruota e a ripartire. Anche questa è andata! Speriamo bene.

Arriviamo ad Antsirabe all’imbrunire e qui pernottiamo e ceniamo con un ottimo filetto di zebù. La mattina successiva prendiamo la RN1 che risale un po’ verso nord. La strada si fa via via più scassata e dopo un po’ facciamo veramente  fatica a scansare le buche, le mandrie di zebù, i gruppi di anatre e ogni sorta di carretto. Raggiungiamo la cima dell’altopiano e poi iniziamo a scendere in una zona dapprima piuttosto arida e poi accesa dal verde delle risaie. Ma lo spettacolo vero l’abbiamo quando compaiono  dei primi baobab maestosi sullo sfondo di una luce sempre più rosata. Sono enormi e bellissimi! Che emozione! Raggiungiamo Morondava che si trova sulla costa per pernottare e riposare.

Fiume Tsiribinda

Il giorno dopo proseguiamo su tratti di strada per lo più sterrata dove  dobbiamo evitare enormi buche. Però il paesaggio è stupendo! Alti baobab svettano sulla foresta, villaggi di case di terra con i tetti di paglia dove giocano frotte di bambini, donne sedute davanti a casa o in cammino sulla strada con enormi pesi sulla testa. Colpisce, come spesso in Africa, il ritmo lento che accompagna la giornata e la moltitudine di gente che si sposta a piedi, spesso scalzi, percorrendo chilometri e chilometri. Dobbiamo attraversare due fiumi, il  Tsiribinda  e il Mranbolo , salendo su delle  chiatte e  poi attraversare la foresta di Kirindy per raggiungere Bekopaka che si trova relativamente vicino al Parco del Grande Tsingy. Quando finalmente arriviamo siamo stanchissimi e con la schiena a pezzi .

Parco del Grande Tsingy

lemuri bianchi

Il giorno dopo ci alziamo presto per la visita al Parco di Tsingy di Bemaraha che dista da qui una ventina di km, poco se non fosse per le condizioni della strada! Lungo la via  carichiamo la guida che ha con sè anche delle imbragature che serviranno al Parco. Sono un po’ preoccupata perché le mie scarpe da trekking sono nella valigia che non è ancora arrivata e arrampicarmi con le “superga” non mi pare salutare!

Arrivati al parco attraversiamo un tratto di foresta piuttosto fitta e dopo poco avvistiamo i primi lemuri bianchi della razza dei Sakkara danzatori che saltano da un ramo all’altro. Sono veramente buffi!  

Poi inizia il Tsingy vero e proprio, cioè una zona di pinnacoli calcarei frastagliati che si esplorano arrampicandosi su tratti di ferrata, di scale di ferro e altre strutture applicate. Armati di imbragatura e moschettoni saliamo su e giù dalle cime ammirando panorami incredibili, uno spettacolo che toglie il fiato. Fra una pausa e l’altra vediamo gruppi di lemuri che saltano abilmente fra i picchi affilati: l’agilità di cui danno prova in mezzo a questo percorso ostile è incredibile. Attraversiamo ponti di corda in altezza e ci infiliamo in cunicoli dove si deve strisciare per sbucare in quella che chiamano cattedrale, una formazione dove le rocce appuntite si uniscono a formare una sorta di cappella. Qui ci fermiamo per uno spuntino e per poi ripartire con altre ferrate e altre rocce da salire fino a ritrovare la foresta.  E’ stato faticoso, ma veramente incredibile!

Morondava

Con un’altra giornata di viaggio ottimo per la schiena rientriamo a Morondava e prima di andare in albergo raggiungiamo “le alleès de Baobab”, una zona di concentrazione di baobab affascinante soprattutto al tramonto quando il sole calando li illumina di rosso. Sicuramente un posto scenografico che attira i turisti pronti ad immortalarli ! Ma il massimo della felicità lo raggiungo quando arrivata in albergo trovo la mia valigia !! Finalmente un cambio pulito!

Di fronte a Morondava si trova l’isoletta di Betania su cui c’è un villaggio di pescatori. La raggiungiamo con una piroga e ci dirigiamo al villaggio. Si tratta di un gruppo di capanne di bambù tra cui corrono frotte di bambini. Sulle soglie delle capanne donne intente a lavare o cucinare e uomini ad aggiustare le reti da pesca. C’è un’atmosfera rilassata e tranquilla che invoglia  a fermarsi qui e aspettare il passare lento del tempo. Facciamo una puntata alla spiaggia dall’altro lato del villaggio dove arrivano le barche dalla pesca. Ogni barca è attorniata da tutta la famiglia con le donne che tolgono i pesci dalle reti o allattano i più piccoli, mentre i bambini giocano sulla sabbia. Nonostante ci sia molta gente al lavoro non c’è caos né rumore!

Un po’di mare

Da Morondava cominciamo a scendere verso sud percorrendo chilometri di piste sterrate che si rivelano peggio di quello che pensavamo. Tratti di sola terra  si alternano a guadi di fiumi di cui non si capisce la profondità se non scendendo dall’auto e provando con un bastone. Certo che se sprofondiamo in una di queste pozze voglio proprio vedere chi ci tira fuori visto che non passa nessuno! Ci siamo portati qualcosa da mangiare al sacco perché non ci sono posti di possibile ristoro. Arriviamo a Manja   dove pernotteremo verso le quattro del pomeriggio avvistando il primo palo elettrico della giornata.

Il giorno dopo ripartiamo per un’altra giornata di spostamento su pista. Incontriamo solo mandrie di zebù con i pastori e persone a piedi con fagotti sulla testa. Attraversiamo un altro fiume rischiando di insabbiarci quando scendiamo dalla chiatta sull’altra riva e percorriamo l’ultimo tratto di strada che ci porta a Andavadoaka. Prima di arrivare cominciano a comparire strani baobab bassi e grassi che sembrano usciti da un cartone animato. Bellissimi! Ci fermiamo in un bungalow sul mare dove staremo un paio di giorni per riprenderci e goderci un po’ di relax. Davanti a noi una spiaggia bianca e un’acqua cristallina incredibile! Ci godiamo il tramonto e aspettiamo l’acqua per farci la doccia perchè la proprietaria ha detto arriverà verso le 18:00. E in effetti alle sei in punto arriva la proprietaria con due secchi d’acqua calda! E’ l’Africa ragazzi!!

Dopo il relax si riparte per scendere ancora verso sud su una pista sabbiosa che si rivela peggio delle strade già percorse. La pista corre parallela alla costa e apre ogni tanto scorci bellissimi sul mare. Per il resto il paesaggio è arido e desertico. Ci vogliono tre ore di pista per arrivare ad Ambatomilo  senza incontrare anima viva.  Però ci rendiamo subito conto che ne valeva la pena! Davanti a noi appare una spiaggia bianca e un mare di un colore indescrivibile. I sei lodge sono le uniche abitazioni presenti sulla spiaggia e qui trascorriamo un paio di giorni di relax in solitudine con l’unico impegno di guardare le piroghe dei pescatori che passano a vele spiegate, pranzare con ottime aragoste appena pescate guardando il mare o raggiungere con una ventina di minuti a piedi lungo la spiaggia il villaggio di pescatori, un agglomerato di capanne un po’ fatiscenti in riva al mare dove il livello di vita è al limite della sopravvivenza.  

 Parco Nazionale dell’Isalo

Dopo questi giorni di relax riprendiamo la strada verso sud. Strada è naturalmente un eufemismo, si tratta di una pista sabbiosa che alterna tratti di boscaglia alla costa con squarci sul mare e sulle spiagge bianche e deserte. Poi la strada diventa asfaltata, ma si va piano comunque a causa dei mezzi più disparati che la percorrono; viene trasportato di tutto su biciclette o carri trainati da zebù o a mano. Attraversiamo villaggi di catapecchie, qualche coltivazione di cotone o di canna da zucchero utilizzata per la produzione del rum. Poi il paesaggio cambia e la vegetazione lascia il posto a distese di erba secca. Questa è la zona delle miniere di zaffiri e i villaggi cambiano aspetto: accanto alle capanne di disperati  appaiono le case in muratura dei commercianti di zaffiri.  Appena fuori dal paese, lungo due torrenti, un’accozzaglia di gente setaccia il fango in cerca di residui di zaffiri; sembra una bolgia infernale impressionante.

Raggiungiamo il Parco Nazionale dell’ Isalo che è un po’ il grand canyon del Madagascar, dove rocce calcaree, plasmate dal vento e dalle piogge in pinnacoli e strane forme e tappezzate di licheni arancioni e verdi, si alternano alla savana e a profonde gole scavate dai fiumi e ricoperte dalla vegetazione. Con una guida ci incamminiamo su un sentiero sassoso e dopo poco avvistiamo i primi lemuri catta. Sono buffissimi con le lunghe code rigate e le pose che assumono.

Lungo il percorso incrociamo tra le rocce numerose grotte che nascondono le tombe dell’etnia Bara, il gruppo etnico che abita queste aree.  Poi raggiungiamo un punto da dove si domina il gran canyon, una vallata desertica incorniciata da rocce giallo ocra. Uno spettacolo incredibile! Il sentiero prosegue  sotto un sole a picco in un paesaggio sempre più desertico  solcato da canyon  ricchi di una fitta vegetazione e spesso di  piscine naturali dove possiamo trovare un po’ di refrigerio dal sole.

In uno di questi ci fermiamo per mangiare qualcosa e riposare un po’ all’ombra.   Ed ecco arrivare i lemuri, sia i catta con le lunghe code a strisce che quelli bruni.  (https://www.biopills.net/lemuri/) Si posizionano sugli alberi attorno a noi nell’attesa di rubarci un po’ di cibo. Sono incredibili mentre si spostano da un albero all’altro per fermarsi poi ad osservarci con pose ed espressioni quasi umane. Finito il pranzo ripartiamo seguendo il corso d’acqua che scorre sul fondo del canalone, incontrando altre piscine naturali per  poi tornare dopo più di quattro ore al punto di partenza piuttosto stanchi, ma felici dell’esperienza.

La Riserva di Anja e il Parco di Ranomafama

Lasciata la zona dell’Isalo cominciamo a risalire verso nord sull’altopiano brullo e piatto fino a raggiungere la riserva di Anja, una piccola riserva naturale, dove vivono numerosi lemuri catta. Con una guida ne percorriamo un tratto potendo osservare bene lemuri, camaleonti e una flora unica e particolare. Ripartiti ci fermiamo più avanti ad Ambalavao per pranzare e visitare una fabbrica di carta Antaimoro ( https://pietrotimes.blogspot.com/2012/04/madagascar-la-carta-antaimoro.html), una carta particolare ricavata dalla corteccia di un albero, l’avoha, fatta macerare e arricchita di fiori freschi.

Poi la strada si fa sempre più brutta, ma il paesaggio è più affascinante: risaie e terrazze incastonate in vallate di terra rossa, campi coltivati e fabbriche di mattoni. Ricomincia la moltitudine di animali e persone che riempiono la strada e che facciamo fatica a scansare. Deviamo verso Ranomafama su una strada più scorrevole e in un paesaggio diverso: si entra nella foresta zona della foresta pluviale. Ed in effetti durante la notte  piove molto per cui la mattina siamo un po’ preoccupati per le condizioni dei sentieri dove faremo il trekking. Ci dirigiamo all’ingresso del parco di Ranomafama, mentre il sole comincia a uscire dalle nuvole, e insieme alla guida raggiungiamo l’ingresso della foresta.

Qui vivono molti lemuri di specie diverse e infatti dopo poco avvistiamo alcuni lemuri dorati, sembrano enormi gattoni rossicci posizionati sulle cime degli alberi, e lemuri dal ventre e dalla fronte rossa.  Si scivola molto per il fango, ma la foresta è bellissima e siamo spesso col naso all’insù per ammirare i lemuri saltare da una cima all’altra. Ci inoltriamo in una selva sempre più rigogliosa tra felci giganti, orchidee e altissimi bambù fino a raggiungere una bella cascata che forma una piscina naturale. Dopo circa quattro ore di cammino siamo piuttosto stanchi e ritorniamo sui nostri passi fino a raggiungere l’ingresso del parco.

Sulla via del ritorno

Ora il nostro viaggio prevede di tornare verso Antananarivo e cisì cominciamo a risalire l’isola su strade più o meno scassate, tra foresta e villaggi, con paesaggi bellissimi dove la terra rossa è suddivisa in terrazze coltivate a riso e ortaggi.

Arriviamo ad Ambositra dove mentre percorriamo una strada vediamo un sacco di gente fuori da una casa. Si tratta  un “famadihà”, una festa in occasione della riesumazione di un defunto. E’ un rituale che viene fatto dopo sette anni dalla morte del congiunto (e solo nel periodo fra luglio e settembre). In pratica  la famiglia organizza una grande festa in onore del defunto che viene riesumato dal suo sepolcro e portato in processione dalla folla gioiosa che canta e balla accompagnata da intere bande musicali. Tutto si svolge nella massima allegria, la gioia gli deriva dalla possibilità unica di poter riabbracciare, seppur per poche ore, il corpo del loro caro estinto.

La nostra guida chiede alla famiglia se possiamo entrare e così ci ritroviamo all’interno di un cortile dove una piccola banda suona musiche allegre e dove in grossi pentoloni si sta cucinando per tutti. Su un tavolino si prendono e si annotano le offerte a cui aderiamo anche noi . Per fortuna non ci chiedono di vedere il morto e invece ci invitano a mangiare, ma dopo aver visto il contenuto dei pentoloni, zebù e maiale che galleggiano in una sostanza oleosa, decliniamo l’invito.

Ripartiamo e, dopo una sosta al lago di Triva , un bel lago vulcanico di colore verde smeraldo incuneato tra il verde , raggiungiamo la capitale dove concludiamo il nostro viaggio in questo splendido paese ricco di una natura sorprendente e di una popolazione  incredibile.

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