Parte II

La figura del caregiver familiare individua la persona responsabile di un altro soggetto dipendente, anche disabile, di cui si prende cura in un ambito domestico. È colui che organizza e definisce l’assistenza di cui necessita una persona, anche congiunta ed è in genere (come meglio vedremo nell’articolo) un familiare di riferimento. Si distingue quindi dal caregiver professionale (cd. badante).

Il profilo del caregiver

Il profilo del caregiver è stato riconosciuto e delineato normativamente per la prima volta dalla legge di bilancio 2018 che lo definisce come persona che assiste e si prende cura di specifici soggetti, quali: il coniuge o una delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto; il familiare o affine entro il secondo grado e anche un familiare entro il terzo grado, nei casi individuati dall’art. 3 c. L.104/1992, che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, sia non autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, ovvero gli sia riconosciuto un grado di invalidità in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata continuativa, definita come handicap grave ai sensi dell’art.3 c.3 L. 104; sia titolare di indennità di accompagnamento.

La suddetta legge di bilancio 2018 ha istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un Fondo per il sostegno del titolo di cura e di assistenza del caregiver familiare, con una dotazione da ripartire alle Regioni per il sostegno di interventi legislativi volti a riconoscere il valore sociale ed economico di tale attività di cura non professionale.

Le risorse, destinate alle Regioni per interventi di sollievo e sostegno destinati al caregiver familiare, devono essere utilizzate dando priorità: ai caregiver di persone in condizione di disabilità gravissima, così come definita dall’art. 3 del D.M. 26.09.2016; ai caregiver di coloro che non hanno avuto accesso alle strutture residenziali a causa delle disposizioni normative emergenziali, comprovata da idonea documentazione; a programmi di accompagnamento finalizzati alla deistituzionalizzazione e al ricongiungimento del caregiver con la persona assistita.

Inoltre, il Dipartimento per le politiche della famiglia è chiamato a monitorare la realizzazione degli interventi finanziati dalle Regioni per ambito territoriale o comune, in base agli interventi presentati. Il Fondo è stato poi incrementato nel corso degli anni (con una dotazione nel triennio di programmazione 2021-2023 pari a 30 milioni di euro per ciascun anno del triennio).

Al termine di ciascun esercizio finanziario le somme residue e non impegnate del citato Fondo devono essere versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate al medesimo Fondo, in modo da riacquisire le risorse che altrimenti andrebbero in economia.

Quadro o vuoto normativo?

La figura del caregiver, al di là dell’alveo delineato, non gode di un quadro settoriale omogeneo, quanto piuttosto di singoli interventi che vanno pertanto spesso reperiti in fonti sperate.

Tutti conosciamo, ad esempio, la L. 104 -che consente a chi assiste un parente di ottenere particolari permessi da lavoro-.

Vi sono poi interventi quali la priorità nel passaggio da full time a part time o la previsione di ferie e permessi solidali; ed ancora: la possibilità di opporsi al trasferimento o al lavoro notturno.

Bonus caregiver

Anche l’ultima legge di bilancio -benchè spesso circoscriva le disposizioni alla sola categoria di anziani non autosifficienti- ha riconosciuto il valore sociale dei caregivers avviando quello che comunemente viene denominato ‘bonus caregiver’ o ‘bonus anziani’-, legittimandolo a “partecipare alla valutazione multidimensionale della persona anziana non autosufficiente, nonché all’elaborazione del PAI e all’individuazione del budget di cura e di assistenza” e riconoscendo “la formazione e l’attività svolta ai fini dell’accesso ai corsi di misure compensative previsti nell’ambito del sistema di formazione regionale e finalizzati al conseguimento della qualifica professionale di operatore sociosanitario (OSS)”.

Tanto è diffuso il fenomeno (e tanto è disomogeneo il quadro normativo) che, come spesso accade, le pronunce giurispudenziali  risultano fondamentali per colmare alcuni vuoti o meglio inquadrare alcune disposizioni.

Un quadro normativo disomogeneo

È interessante ricordare una recente sentenza che ha tratto spunto da un caso piemontese (una società di trasporti che riconosceva ai caregivers che fruivano dei permessi ex art. 33 L. 104/92  il  premio di risultato pari al 88% rispetto agli altri lavoratori, considerando come assenza i tre giorni mensili di cui gli stessi godevano): la pronuncia ha evidenziato che la mancata equiparazione dell’assenza in presenza in servizio per i lavoratori che fruiscono dei permessi ex L. 104/92 determina una forma di discriminazione diretta perché fondata sulla disabilità.

Da ultimo, ancora, la Corte di Cassazione, con ordinanza del 17.01.2024, ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea di pronunciarsi su un caso veramente interessante: qualora un datore di lavoro tratti un lavoratore, che non sia esso stesso disabile, in modo meno favorevole rispetto ad un altro lavoratore in una situazione analoga, e sia provato che il trattamento sfavorevole è causato dalla disabilità del figlio, al quale presta la parte essenziale delle cure di cui quest’ultimo ha bisogno, un siffatto trattamento viola il divieto di discriminazione diretta.

Il caregiver familiare, ha rilevato la Corte, non gode, nell’ordinamento italiano, di una tutela generale contro le discriminazioni e le molestie subite sul posto di lavoro in ragione dei compiti di cura che ha nei confronti del familiare da assistere. Egli beneficia solo di specifici istituti riconosciuti da particolari norme di legge che, peraltro, si limitano spesso ad estendere al caregiver forme di protezione non sue, ma proprie del disabile che assiste.

Il fatto che, anni dopo l’introduzione della figura del caregiver, vengano ancora posti quesiti interpretativi alla corte europea consente di comprendere come la realtà offra sempre spunti concreti cui la normativa di settore non riesce compiutamente a rispondere.

Quanti sono i caregiver in Italia?

Le statistiche Istat indicano che in media il 16,4% della popolazione – a fronte di una media UE del 15,6% – si occupa di assistere un soggetto che ne ha bisogno, prevalentemente a livello familiare.

Del totale medio, le donne presentano un maggiore peso percentuale (18,4%) dell’assistenza fornita rispetto a quella degli uomini (14,3%).

Si tratta quindi di un fenomeno che non è più possibile omettere di ritenere parte sostanziale del tessuto sociale, come ci dimostra anche la testimonianza che segue.

Margherita e il suo rapporto con la figura del caregiver

Nel nostro primo articolo a  quattro mani, avevamo  parlato del ruolo dell’assistenza sociale in riferimento al rapporto con famiglie che gestiscono condizioni di fragilità.

Oggi vorremmo parlare della figura de cargiver , come sapete ormai da tempo io non lo faccio in senso professionale perché non ne ho le competenze.
Io posso parlarne dal punto di vista del cittadino comune.
Oggi si danno nomi ed etichette a tutti e tutto: dire cargiver è più figo ma il cargiver è più semplicemente una madre, un padre ,un marito, un figlio ecc. cioè un familiare che si occupa di te nella vita di tutti i giorni questo si può dire in linea generale , ma può succedere che non si abbiano legami familiari con chi si assiste.

Piu la disabilità è grave più il familiare deve saper affrontare diverse problematiche.

Il cargiver con il tempo deve acquisire competenze, su terapie, medicinali, saper parlare e conoscere diversi professionisti e professioni che si interfacceranno con lui.
Tutto questo porta senza dubbio molto stress.
Ma non è un lavoro, non si può chiedere una pausa o le ferie.

Per un periodo della vita ogni genitore fa da cargiver al proprio figlio, oppure un figlio adulto lo fa per un genitore anziano. Ma questo è molto più complicato se la disabilità è più complicata.

Ora in tutto questo io vorrei rilevare un aspetto che magari può apparire meno importante ma non lo è.

Il cargiver è un parente è per ciò oltre a tutto c’è un fattore emotivo e sentimentale che ha il suo peso.

In tanti gesti il cargiver è quasi un robot , perché sono spesso gesti incastonati in una routine che non può cambiare.

Il cargiver ha poco tempo per sé, per occuparsi di sé.

Se non stiamo bene noi anche chi sta attorno a noi ne risente, questo è un principio che vale in generale ed ancora più vale per un cargiver ,che deve riconoscersi come “Altro” dalla persona che sta sotto le sue cure e responsabilità.

Non è facile da fare ma è fondamentale.

Dal canto mio la mia famiglia mi ha sempre curata, mia madre più intensamente se così posso dire. Per fare ciò so che si è trascurata, fa male rendersene conto ma non si può tornare indietro.

Ora da persona adulta e sposata mio marito mi sostiene e cura, ma in questo momento della mia vita posso obbligare mio marito a prendersi i propri spazi e vedere noi come una coppia come le altre.

Perché non sei solo un cargiver sei una PERSONA.

Ecco perché concludo il mio articolo dicendo che in passato si viveva con nonni, zii tutto il paese attorno ai più piccoli erano un esercito di cargiver ed era nella normalità della società prendersi cura della comunità.

Oggi siamo più proiettati verso l’ individualismo è la rete di protezione è venuta meno… Per bambini, anziani o disabili.

Se cercassimo di diminuire la solitudine anche di chi si trova a fare il cargiver…Forse staremo meglio tutti.

Anna Cafagna per Extra Diritti e Margherita Rastiello per Extra Abilità.

Facebooklinkedininstagram