E’ passato qualche anno da quando abbiamo visitato Israele e abbiamo scoperto un paese diverso da come lo immaginavamo, dove la vita nonostante tutto scorre apparentemente tranquilla, un paese pieno di contraddizioni, dove spesso le differenze convivono anche se con equilibri fragili, ma dove sopravvivono anche sacche di integralismo e chiusura quasi impensabili al giorno d’oggi impregnate di un odio profondo che si trascina da secoli.

Tel Aviv e Jaffa        

Jaffa al tramonto acquista colorazioni calde
Jaffa

Atterriamo a Tel Aviv, una città moderna e trafficata affacciata sul mare e collegata alla vecchia città di Jaffa da un lungomare ben tenuto e molto animato. Lo percorriamo al tramonto camminando per raggiungere il promontorio dove si trova Jaffa. Attorno a noi molte persone che fanno jogging, passeggiano o vanno in bicicletta. Sembrerebbe un normale lungomare europeo se non fosse per gli ebrei ortodossi che incrociamo e che spiccano tra le persone vestite in modo occidentale per i lunghi cappottoni neri e  il cappello da cui spuntano lunghi riccioli che arrivano alle spalle.  Raggiungiamo Jaffa, un intrigo di strette stradine, tra vecchie case di sasso a strapiombo sul vecchio porto che con il calar del sole acquistano colorazioni calde creando una bella atmosfera .

La costa nord

l'acquedotto romano di Caesarea
Caesarea

Lasciamo Tel Aviv  che si è rivelata una bella città cosmopolita, pulita e molto verde per risalire la costa verso nord. La prima tappa è a Caesarea, l’antica città romana, oggi il più grande sito archeologico di Israele collocato in riva al mare. Lo visitiamo sotto un cielo azzurrissimo e un sole cocente che fa risaltare i resti del vecchio acquedotto romano e della vasta città con le rovine dei palazzi, dei bagni pubblici e dell’anfiteatro. La luce è incredibile e accecante, ma rende unico e magico questo splendido luogo ricco di storia.

La strada lungo la costa ci porta prima ad Haifa, un’altra bella cittadina in riva al mare con gli splendidi Giardini di Bahai patrimonio dell’umanità e sede di una delle più importanti comunità bahaiste, poi ad  Akko, una cittadella medioevale cinta da mura e a picco sul mare. Chiamata dai crociati Acri, accoglieva in epoca medioevale le navi provenienti dalle repubbliche marinare. E’ un gioiellino di strette stradine tra palazzi antichi, moschee e suk, che portano al porto nato sull’antico porto pisano. Mentre ci godiamo una gustosa spremuta di melograno guardiamo le coppie di sposi che vengono qui per le foto di nozze vista l’atmosfera tranquilla e rilassata del luogo. Siamo stupiti dal fatto che qui vive prevalentemente una comunità araba e cominciamo a capire che Israele ha molti volti e molti angoli anche di convivenza pacifica.

La Galilea

Lasciata la costa cominciamo a dirigerci verso la Galilea per raggiungere il Lago di Tiberiade, un immenso lago immerso in una vallata di ulivi. Fa un certo effetto muoversi in queste zone dai nomi evocativi. Io non sono credente, ma la storia che ha percorso questi luoghi fa comunque parte della mia infanzia. Alloggiamo in un kibbuz immerso negli ulivi e nelle coltivazioni che l’aria mite del lago favorisce vicino al lungolago ricco di ristorantini e molto animato.

Tsafat l'interno di una scuola di cabala ebraica
Tsafat

Decidiamo anche di visitare la zona a nord del lago, la regione dell’Alta Galilea incorniciata dalle alture del Golan, e lungo la strada ci fermiamo a Tsafat, un paesino arroccato su una collina. Qui nel XVI secolo si stabilirono gli studiosi della cabala ebraica e da allora raccoglie moltitudini di ebrei ortodossi, chassidim , provenienti da ogni parte del mondo. Tra le stradine strette del paese piene di sinagoghe e negozi d’arte incontriamo quasi esclusivamente persone vestite con i cappottoni neri, cappelli e riccioli cadenti. Sembra di essere un po’ fuori dal tempo; anche le donne cariche di figli hanno un abbigliamento dimesso con gonne lunghe e fazzoletto in testa. L’atmosfera è  nel complesso piacevole e l’assenza di automobili da’ a tutto un senso di tranquillità anche se un po’ queste figure nere che incrociamo mi inquietano come in genere gli estremismi e gli integralismi di tutti i generi.

La regione dell’Alta Galilea è ricca di coltivazioni ed uliveti, piantagioni immense di melograni e alberi da frutta di ogni tipo, laghi e corsi d’acqua attorno ai quali ci sono numerosi parchi e riserve naturali. Ci spingiamo verso est al confine con la Siria verso le alture del Golan e lungo la strada incontriamo i resti di cannoni e carri armati lasciati dall’ultimo conflitto e incrociamo molti militari cosa che ci fa ricordare di essere in un paese perennemente in allarme .

Ma i luoghi evocativi non sono finiti, a Cafarnao visitiamo la sinagoga dove, secondo i vangeli, Gesù parlò, la casa di Pietro, pescatore del lago di Tiberiade, e non lontano il luogo dove avvenne il miracolo dei pani e dei pesci. Sono generalmente chiese moderne dove all’interno c’è una pietra o un antico altare individuato come luogo di un evento del Vangelo, ma il risultato è poco coinvolgente per un non credente.

E poi raggiungiamo Nazareth, una città che si rivela caotica e piena di traffico. Qui si trova la Chiesa dell’Annunciazione, che sorge nel luogo dove si pensa avvenne l’annunciazione dell’Angelo a Maria. Anche qui chiesa enorme e bella, ma senza riferimenti effettivi e storici dell’epoca dell’evento; direi piuttosto anonima. Prima di lasciarla facciamo un rapido giro nel suk che però sta chiudendo perché inizia lo shabat del venerdì e gli ebrei fermano ogni attività.

Verso sud fino al mare

Cominciamo a scendere verso sud, costeggiando il lago di Tiberiade e percorrendo un tratto della West Bank , la Cisgiordania, il territorio palestinese conteso durante la guerra dei sei giorni e negli anni successivi coinvolto costantemente nell’occupazione del territorio palestinese da parte dei coloni israeliani. Ci dirigiamo verso il Mar Morto percorrendo la valle del Giordano costeggiata a destra dagli alti monti che segnano il confine con la Giordania e che contrastano per la loro aridità con la valle intensamente coltivata con serre, ulivi, frutteti e viti.

Man mano ci avviciniamo al Mar Morto il paesaggio è sempre più arido e sassoso, ma appaiono i segnali del turismo: alberghi, negozi e spa. Ci immergiamo nelle acque salatissime  del mare dove è divertente stare a galla in qualsiasi posizione ci si metta, si deve solo stare attenti al viso e agli occhi per il livello alto di salinità . Attorno si vendono ovunque prodotti di bellezza con i sali e ogni trattamento con i fanghi.

Salendo a Masada con la funivia
Masada

Non lontano da qui merita una visita la fortezza di Masada collocata in cima ad una montagna rocciosa color ocra con pareti a picco sulla valle deserta. La si raggiunge a piedi o con una funicolare che, visto il caldo, scegliamo volentieri. Il percorso è breve ma molto affascinante per la veduta dall’alto della valle e per il colpo d’occhio sulla fortezza mano a mano ci avviciniamo. Qui si rifugiarono nel 70 d.c  un migliaio di ebrei per un ultimo tentativo di resistenza alle armate romane. Non c’è nessuno e il silenzio rende il luogo ancora più affascinante; sembra di percepire la tensione vissuta dalla comunità che, quando ormai capisce di non farcela più, decide il suicidio di massa. Giriamo tra quelli che erano gli alloggi, la sinagoga e il sistema di rifornimento dell’acqua mentre il sole si fa più cocente e arrivano altri turisti rumorosi a rovinare il momento.

Continuando a scendere, attraversato un altro tratto del deserto nel Negev, arriviamo a Eliat, la punta sud più estrema di Israele al confine con la Giordania e l’Egitto. E’ una località turistica sul mare con alberghi e ristoranti. Ci sono spiagge cittadine non bellissime e molto affollate, ma anche riserve naturali con belle spiagge e barriera corallina su cui ci prendiamo qualche ora di relax.

Gerusalemme

Toccato il punto più a sud cominciamo la risalita percorrendo un altro tratto del deserto del Negev. Mano a mano ci allontaniamo dal mare il paesaggio si fa sempre più incredibile: rocce di varia colorazione si perdono a vista d’occhio, non c’è nulla per chilometri se non una distesa di roccia ocra su cui scorre una strada perfetta!  Poi, lasciatoci il deserto alle spalle, cominciamo ad attraversare campi di frumento, agrumeti e frutteti fino ad entrare nella città santa.

veduta di Gerusalemme
Gerusalemme

La città è molto vasta, ma la parte storico religiosa è quella centrale dove si trova la cittadella. Prima di visitarla facciamo un giro nei dintorni cominciando dal Monte degli ulivi davanti all’orto del Jetsemani. E’ un meraviglioso giardino di ulivi secolari dove ora sorge una chiesa per ricordare il luogo dove venne arrestato Gesù.  Più in alto, sulla cima del monte si gode una splendida vista della città che da qui sembra solo una meravigliosa città ricca di storia e non una città ferita e conflittuale.

Entriamo nella cittadella dalla Porta dei Leoni e vaghiamo per le strette strade dei quattro quartieri che la compongono: ebreo, armeno, mussulmano e cristiano. Ci avvolge l’atmosfera sacra che trasuda da ogni pietra della via dolorosa, che dovrebbe coincidere con la strada percorsa da Cristo con la croce, lungo la quale si trovano molti luoghi sacri. Ad ogni angolo c’è un luogo importante per qualcuna delle religioni che qui si intrecciano e convivono da millenni. La gente che incrociamo è una mescolanza di ebrei ortodossi, di mussulmani, di pellegrini cristiani e ortodossi accompagnati da preti o da pope barbuti. Sembra che tutto conviva tranquillamente fino a quando non arriviamo  ad uno degli accessi alla spianata delle moschee e veniamo fermati da militari che ci spiegano che da lì possono passare solo i mussulmani. E’ uno dei primi momenti in cui tocchiamo con mano il difficile equilibrio e la tensione che avvolge questi luoghi.

Arriviamo al Santo Sepolcro la cui facciata è molto sobria e quasi anonima, ma che si rivela carico di sacralità e di contraddizioni. Qui si tocca con mano la complessità religiosa di questa città: una parte della chiesa è ortodossa, una parte cristiana e c’è anche una piccola cappella copta, ma, cosa ancora più assurda, le chiavi della chiesa sono tenute da una famiglia di mussulmani!  All’interno, oltre alla Pietra dell’Unzione dove fu deposto Gesù prima della sepoltura, c’è la cappella dove fu spogliato e inchiodato alla croce, anche questa ha una parte dei francescani e una greco-ortodossa. E poi il Santo Sepolcro vero e proprio costituito da una piccola cappella a cui si accede da una piccola porticina. Mentre si fa sera ci sediamo un po’ all’esterno ad ammirare il posto e le lunghe file di pellegrini che entrano nella chiesa mentre dal vicino minareto un muezzin chiama i fedeli alla preghiera. Città incredibile e complessa! 

Per salire alla Spianata delle Moschee, punto centrale della città, c’è una sola porta d’accesso per i non mussulmani dove c’è un rigoroso controllo dei militari. Attraversato un camminamento di legno che passa sopra il Muro del Pianto arriviamo alla spianata, un’immensa piazza con da un lato la Moschea Al-Aqsa e dall’altro la meravigliosa  Cupola della Roccia. Possiamo ammirarle entrambe solo dall’esterno perché sono accessibili solo ai mussulmani. Attorno alla Moschea capannelli di uomini e donne (rigorosamente separati) discutono e commentano i sacri testi del corano. Il punto centrale della piazza è però la Cupola costruita su un luogo sacro sia per gli ebrei (qui Abramo stava per sacrificare Isacco) che per i mussulmani (qui Maometto salì al cielo). Ci sembra inconcepibile che sia anche il luogo simbolico dei conflitti della città!

Superato un altro controllo della polizia entriamo nell’area del Muro del Pianto. Il posto è strano e affascinante al tempo stesso. C’è un enorme piazzale davanti all‘alto muro occidentale dove uomini e donne, rigorosamente separati, pregano toccando il muro con la fronte  e infilando foglietti nelle sue fessure. La maggior parte è vestita all’occidentale, ma vi sono anche parecchi ebrei ortodossi vestiti di nero. Mentre arriva un gruppo di bambini anche loro con lunghi riccioli neri che ci lasciano un po’ perplessi, mi accorgo di essermi infilata nel posto riservato agli uomini e, richiamata all’ordine, mi sposto velocemente! E’ tutto molto coinvolgente, ma anche un po’ inquietante!

Betlemme

La stella che segna il punto della nascita di gesù
Grotta della natività

La visita a Betlemme comporta il passaggio in Cisgiordania dove non possiamo andare con la macchina presa a noleggio in Israele, per cui ci facciamo accompagnare da un taxi alle porte della cittadina dove lo lasciamo perché non può entrare e prendiamo un taxi palestinese che ci porta in città. L’autista ci spiega che gli israeliani qui non possono entrare, ma essendoci pochi controlli in realtà possono a loro rischio e pericolo (lungo la strada è pieno di cartelli che li avvisano del pericolo!), mentre i palestinesi possono uscire solo con un visto e noi con il passaporto. Pazzesco! Sicuramente ci si rende subito conto che qui  c’è più povertà e il tassista ci racconta quanto sia complicato il loro vivere un po’ alla giornata, mentre gli israeliani continuano a costruire insediamenti di coloni e a costruire muri attorno alle città palestinesi impedendo comunicazioni dirette. In piazza c’è una cartina sconvolgente che mostra la situazione del territorio nel ’48 e la situazione attuale di riduzione massiccia dei territori palestinesi da parte dei coloni israeliani.

Visitiamo la Basilica della Natività a cui si accede da una porticina laterale  che obbliga ad inchinarsi in segno di devozione. La chiesa è ortodossa e come tale riccamente decorata con applicazioni dorate e argentate, icone alle pareti e enormi lampadari di vetro colorato, c’è anche una parte armena della basilica. Da lì si scende nella grotta della Natività, dove, sotto al piccolo altare, c’è una stella argentata che indica il punto della nascita di Gesù e di fronte il luogo della mangiatoia. Fa un certo effetto trovarsi qui, indipendentemente dalla religione a cui si appartiene e al credo che si professa.

Dalla basilica ortodossa passiamo alla chiesa cattolica adiacente di Santa Caterina dove si celebra la messa di mezzanotte a Natale. Non smettiamo di stupirci per la frammentazione dei luoghi sacri, divisi tra le varie confessioni che condividono zone con significati a volte diversi che però dovrebbero essere di insegnamento alla pacifica convivenza.

Chiudiamo così la nostra visita ad uno strano paese dove abbiamo toccato con mano l’intrecciarsi di religiosità e storia e convivenza, ma dove in modo meno visibile scorre anche odio ancestrale e difficile accettazione dell’altro.

Durante il viaggio mi ha accompagnato un libro uno di David Grossman “A un cerbiatto somiglia il mio amore”, un viaggio all’interno del territorio israeliano di due adulti che si ritrovano dopo varie vicissitudini; viaggio che diventa occasione di riflessione e di rimpianto, ma anche di gioia inaspettata, lontani da una realtà difficile di conflitto e morte con cui poi si dovrà tornare a fare i conti.

Facebooklinkedininstagram