Incontro Enrica a Bologna, in una giornata insolitamente molto calda di settembre.
Propongo un pranzo leggero ma mi ferma subito: portami a mangiare tagliatelle e salumi.
Così finiamo in trattoria, una di quelle con la tovaglia a quadretti e l’acqua nella brocca.

Con Enrica è impossibile fare una domanda e ricevere una risposta. Il nostro pranzo si trasforma in una chiacchierata, in un racconto delle sue passioni, di cosa la anima, di Dio, di spiritualità, di moda.
Mi racconta il suo percorso e mi commuove nonostante siamo davanti ad una cotoletta alla bolognese in una delle strade più trafficate di Bologna.

Enrica: modella, prima fashion blogger transessuale, consulente d’immagine, influencer, autrice di un libro. Ciò che accomuna tutti questi tuoi ruoli è certamente la ricerca estetica e la bellezza. Ti senti più a tuo agio in uno di questi? E perché?

Nel corso degli anni, questi molteplici ruoli mi hanno messo molto in crisi. Mi vedevo una persona che aveva tanti interessi, forse troppi interessi, quasi incostante. Non ho fatto un percorso di studi lineare, dallo scientifico alla Facoltà di Lingue. Mi faceva un po’ soffrire: facevo tante cose diverse. Fino a quando ho scoperto un TEDX talk in cui si parlava di multipotentialite e mi sono finalmente ritrovata. Avvio tanti progetti ma li concludo tutti, studio, approfondisco.
Se devo ritrovarmi in un ruolo, forse il mio blog, The Lookmaker, è il progetto nel quale ho investito di più: ho sempre avuto uno spazio virtuale, ho iniziato con MSN e MySpace. Ho aperto il blog “The queen beetch” nel 2010, nel 2014 “The Ladyboy” quando lavoravo come modello androgino e tanti ragazzi molto giovani mi scrivevano allora chiedendomi come si trovasse il coraggio per uscire allo scoperto. Ho capito che avevo qualcosa da dire.

Mi reputo un’esteta, ho una filosofia dell’estetica vicina a Platone, il buono e il bello vanno di pari passo. Quando vedi qualcosa di bello ti fa bene all’anima.

Mi ha molto colpita una tua riflessione circa la giornata contro l’omotransfobia di quest’anno. Dici che bisogna continuare a lottare e a manifestare perchè discriminazione e odio sono ancora all’ordine del giorno. In alcuni paesi le persone transessuali vengono arrestate e incarcerate nei reparti corrispondenti al loro sesso biologico. In Italia invece a che punto siamo? Quanta discriminazione hai mai subito?

Enrica Scielzo fotografata da Simona Giardullo.
Fotografia di Simona Giardullo.

Anche in ospedale, se non hanno avuto il cambio documenti, vengono ricoverate nei reparti maschili (o femminili).
Probabilmente ho subito delle discriminazioni a mia insaputa, mai palesemente, nel mondo del lavoro.
Occhiatacce ed epiteti credo che capitino a tutti: questo tipo di discriminazioni avvengono se sei punk, se hai la cresta blu, se sei vegana, se sei novax (la nuova frontiera della discriminazione).
Nessuno mi ha mai detto apertamente: “Non ti assumiamo perchè sei trans” però ho sempre pensato che a parità di referenze (soprattutto in un lavoro di contatto con il pubblico), a parità di competenze e curriculum con una ragazza cisgender, assumevano lei perchè era molto più facile soprattutto quando sulla mia carta d’identità c’era scritto Enrico.

Una volta fu invece chiaro: mi proposi ad un atelier di spose proponendo loro un catalogo per spose transgender.
Mi dissero che le loro clienti erano mediamente molto cattoliche e molto conservatrici quindi non se la sentivano. Lì ho sentito che per paura di perdere dei clienti era meglio non esporsi. Forse abbiamo bisogno di persone che non hanno paura perchè le persone trans si sposano, le prime trans a sposarsi sono napoletane. Parliamo sempre del sud chiuso ma a Napoli la figura del femminiello è socialmente accettata da sempre.

Per diventare trans in Italia bisogna avviare un percorso ben preciso. Ho fatto psicoterapia, ho una perizia psicologica, ho fatto un percorso endocrinologico, ho avuto certificazioni e documentazioni per avere il cambio di documenti. Da qualche tempo in Italia per avviare un cambio anagrafico non è più necessario sottoporsi ad interventi dei genitali, puoi mantenere il tuo sesso biologico ma essere riconosciuta nel genere in cui ti identifichi, non in quello in cui sei nato o nata.

Voglio parlare con te dell’evoluzione del linguaggio. Come ExtraWonders ci impegniamo moltissimo per usare un linguaggio rispettoso e inclusivo ma non abbiamo mai affrontato il discorso sullo shwa o sull’asterisco finale il cui obiettivo è mantenere il genere neutro (per chi non si identifica in modo binario). Ti va di aiutarci a ragionare?

Enrica Scielzo fotografata da Luigi Lista
Fotografia di Luigi Lista

Io, persona transessuale, non uso l’asterisco. Io scrivo e dico “Ciao a tutti” perchè in italiano la terza persona maschile plurale non ha niente a che vedere con il genere, è il genere della lingua. È una forma del linguaggio ma non ha a che vedere con il sesso dei partecipanti. “Tutti” è tutti gli ascoltatori, tutti i lettori non tutti quelli con il pene presenti in sala. L’asterisco non è un suono pronunciabile, non è un fonema, non identifica. La shwa invece ha un suono e parla alle persone che non si identificano in nessun genere. Nel latino esisteva il genere neutro che abbiamo perso con patriarcato e Chiesa, adesso sappiamo che non esiste solo il genere maschile e femminile e la nostra lingua dovrebbe essere capace di rappresentare queste diversità o meglio, unicità.
La shwa esiste tra i nostri fonemi, la usiamo soprattutto nei dialetti, nel nostro alfabetico fonetico c’è, con l’asterisco non risolviamo il problema, lo aggiriamo.

Non sono affatto d’accordo nei boicottare il genere maschile e femminile: io sono una persona trans, il mio genere femminile me lo sono conquistato. Non voglio essere neutra, io voglio il femminile.

Dal tuo blog e dal tuo percorso step by step nasce il libro “Diario di una trans”, disponibile da metà settembre. Parliamone.

Il mio libro nasce dal mio blog, dal mio percorso, dalla mia professione. È un diario perché mi piaceva l’idea di quotidianità e familiarità, ho combattuto per normalizzare la figura della trans nella quotidianità, senza doverci pontificare troppo sempre. Una persona trans può essere la tua panettiera, la tua parrucchiera. Jean Paul Gaultier ha voluto in passerella una persona trans ma i suoi profumi iconici sono La Belle e Le Male. Finché la trans è relegata alla moda è normale. È quindi necessario normalizzare la transessualità in questo momento e la parte centrale del mio libro è dedicata proprio a questo diario, così intimo. La prima parte è invece dedicata alla mia infanzia, la mia famiglia, la mia nonna. Parlo poco della mia famiglia; nonostante lavori con i social non li ho mai esposti. E poi c’è il Cammino di Santiago, un po’ il punto di rottura tra Enrico ed Enrica. Ho iniziato gli ormoni a marzo e ho fatto il cammino ad agosto. Ma parlo anche di sesso, parlo di uomini, del linguaggio, di religione, di politica, di storia: la transessualità è il centro del libro ma la speranza è la missione di questo libro. È un libro che ho scritto in una vita tra blog, messaggi, lettere, appunti. Alcune parti le ho scritte a 16 anni.

Vorrei che il mio libro ispirasse coraggio. Ho una frase dipinta nella mia camera di Eleanor Roosvelt: “Fai ogni giorno qualcosa che ti spaventa.

Uno degli obiettivi del blog prima e del libro dopo “Diario di una trans” è quello di essere di ispirazione per le altre persone che intraprendono un percorso sull’identità di genere. Come vivi questa posizione di responsabilità? Ne senti il peso?

Enrica Scielzo fotografata da Giuseppe Pirozzi
Fotografia di Giuseppe Pirozzi

Io sto raccontando la mia vita, non ho nessuna pretesa di entrare nella vita delle persone. Sei tu attore e artefice della tua stessa vita. Sono cresciuta leggendo i cosiddetti Bildungsroman, i romanzi di formazione. Jane Eyre, I dolori del giovane Werther, Tom Sawyer. Ho cercato di dare al mio libro un’impronta quasi impersonale, l’incipit “Mi chiamo Enrica” è proprio caratteristico dei romanzi di formazione, fondamentale per dare un contorno al protagonista. Partono dal basso, da condizioni sfavorevoli e piano piano costruiscono la loro felicità. Ho voluto scrivere un Bildungsroman con il mio racconto super partes così anche chi non conosce la mia storia, la mia causa leggerà un romanzo che riprende una tradizione letteraria. Non è il classico prodotto di marketing dell’influencer. (ride)

Ho definito la transessualità come un travaglio e un parto. Tanta sofferenza che porta alla luce una nuova vita. Noi diamo alla luce noi stesse.

Progetto Disney: lo hai annunciato e siamo molto impazienti. Puoi darci qualche piccolo spoiler?

Ho deciso di ricreare i look delle principesse Disney nella realtà, indosso gli abiti come se le principesse Disney fossero moderne, con abiti che indosserei quotidianamente. Il progetto si chiamerà “How I’d style…”, partirò da Ariel, poi Aurora e così via. Vorrei coniugare quello che faccio (consulente d’immagine e personal stylist con scelte ponderate – Ariel ha la borsa a forma di conchiglia ad esempio) con i riferimenti al personaggio Disney, al suo carattere. Ho bisogno di rievocare tutto l’immaginifico e tutta quella parte dedicata ai nostri sogni che forse stiamo perdendo.

Sto per farti una domanda da profana della moda e delle passerelle. Ti occupi da sempre di moda e di bellezza. Che suggerimenti potresti dare ai brand di self care e di moda per rendere i loro prodotti più inclusivi? Che tengano conto anche delle sfumature di genere?

Enrica Scielzo fotografata da Angela Passannanti
Fotografia di Angela Passannanti, make up di Martina Tancredi, gioielli Erica Magliano

Nel mio libro ho dedicato un intero capitolo al concetto “Le dimensioni contano”, la taglia conta. Di molti brand non posso indossare una XL, non mi entra di spalle, mi va corta. Le scarpe da donna sono un disastro, il 37 non è più il numero centrale. L’inclusività passa anche dall’includere donne e uomini di corporatura piccola o di statura alta, non solo curvy. Adesso la moda curvy impazza ovunque ma essere inclusivi significa includere tutti davvero tutti.

The Next Step: il prossimo passo sarà?


Non sono una che pianifica, non ho un’agenda. Sono una persona estemporanea, non programmo i miei progetti. Sono proiettata verso il futuro ma molto concentrata sul presente.
Mi sto dedicando alla promozione del libro attraverso gli incontri più canonici, le classiche presentazioni ma sto organizzando anche giornate tematiche che richiedono collaborazioni.
Il progetto Disney arriverà a breve e spero faccia emergere il mio modo di comunicare la bellezza, al di là dei reels, degli algoritmi, dei post che fanno engagement. Il mio modo di essere, a modo mio, senza pressioni da questo mondo così competitivo.

Noi siamo un po’ sognatrici…Un desiderio/sogno per il futuro?

Enrica Scielzo fotografata da Gian Marco Memoli
Fotografia di Gian Marco Memoli.

Sono una sognatrice, ho tanti sogni.
Ho incontrato Ferzan Osptek al Giffoni Film Festival e pur non essendo un’attrice mi piacerebbe moltissimo comparire in un suo film, anche come comparsa. Ha contribuito così tanto a cambiare la percezione che abbiamo della realtà, degli amori omosessuali, delle trans, della turca, delle amicizie come famiglia.
Amo i profumi e uno dei miei sogni è lanciare il mio profumo: se fossi un oggetto sarei un profumo, una boccetta vintage con la pompetta rosa e il pennacchio.
Credo che il profumo sia la nostra firma olfattiva, senza profumo sono nuda.
Colleziono orecchini vintage, ovunque io vada trovo mercatini vintage dove comprarne un paio. Tutti credono che dovrei fare una mia linea di abbigliamento e invece il mio sogno è creare una linea di accessori.
E poi c’è lui, il mio grande sogno, quello che occupa il cassetto più grande.
Amo la musica, occupa una parte fondamentale della mia vita e vorrei essere la prima madrina trans di Sanremo.

Mi congedo da Enrica, la saluto continuando a fare quello che ho fatto per le due ore passate insieme: pensare che sia bellissima e che il mondo, tutto il mondo, dovrebbe vederla, conoscerla e ascoltare cosa ha da dire.

Se volete leggere cosa ha da dire, il libro di Enrica “Diario di una trans” è disponibile sul sito di Aoidos Editore e potete acquistarlo qui.

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11 thoughts on “L’importanza di chiamarsi Enrica Scielzo, la prima fashion blogger transessuale italiana”

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