Storie che fanno la Storia

A volte sono i gesti più semplici quelli in grado di spezzare i pregiudizi e cambiare il corso della Storia. Semplici come lo è, per esempio, quello di iscriversi ad una maratona utilizzando solo le iniziali del nome. Un piccolo stratagemma coraggioso e un po’ irriverente, che con due sole lettere scriverà per sempre la Storia dello sport e non solo. D’altra parte, non sono forse i piccoli gesti a dare inizio al vero cambiamento?

La protagonista di questa storia è Kathrine Switzer, maratoneta e attivista statunitense, che nel 1967 decide di compiere un gesto semplice e dal potere rivoluzionario: correrà la maratona di Boston, preclusa alle donne, e dimostrerà a tutti la valenza dello sport femminile. Una storia, la sua, che va oltre lo sport e diventa fondamentale per cambiare la visione della donna nella società. Ogni suo passo alla maratona di Boston, in questo senso, è stato un passo verso la parità di genere, calpestando gli stereotipi.

Stufa di sentirsi ripetere che lo sport che amava era una faccenda da uomini, Kathrine Switzer ha infatti deciso di dimostrare con i fatti l’assurdità di una tale affermazione e, indossando la pettorina numero 261, ha tagliato il traguardo della Storia, diventando la prima donna a correre la maratona di Boston.

Una corsa che sfida il patriarcato

È il 1967 e la maratona è uno sport per soli uomini. Negli Stati Uniti una delle più famose e seguite è quella di Boston, che è anche la più antica e si svolge fin dal 1897.
Quell’anno Kathrine Switzer ha vent’anni e decide di rompere gli schemi: si iscrive alla maratona, decisa a correrla per intero. Consapevole che la domanda di partecipazione di una donna sarebbe stata automaticamente respinta, opta per uno stratagemma: compila il modulo usando solo le iniziali. K.V. Switzer, agli occhi degli organizzatori che esaminano la domanda, è sicuramente un uomo e non c’è nemmeno motivo di interrogarsi al riguardo. La richiesta viene accettata.

L’inganno serviva solo a permettere una partecipazione ufficiale, perché Kathrine Switzer il giorno della corsa non tenta in nessun modo di nascondere la propria natura: anzi, quel lunedì 19 aprile del 1967 ai nastri di partenza si presenta con tanto di orecchini e rossetto, pronta a dimostrare che donna e atleta non sono termini contrapposti ma stanno invece benissimo insieme.

Ed è proprio questo a garantirle un posto nella Storia. In realtà c’era già stata una partecipazione femminile alla maratona di Boston, l’anno prima, ma era avvenuta in segreto. Roberta “Bobbi” Gibb, infatti, aveva preso parte alla corsa nel 1966 travestita da uomo. Dopo che la sua richiesta di partecipazione era stata respinta, infatti, la giovane atleta si era presentata lo stesso e aveva iniziato la corsa da dietro un cespuglio, in modo da non essere notata troppo.
Roberta Gibb aveva completato la maratona con un tempo incredibile di 3 ore, 21 minuti e 40 secondi. Avendo partecipato senza numero, in maniera non ufficiale e travestita, tuttavia, la sua impresa non verrà mai riconosciuta se non molti anni dopo.

Lo stratagemma delle iniziali garantisce a Kathrine Switzer un numero ufficiale per la competizione: il 261, che diventerà successivamente simbolo nelle lotte femministe.
La scelta di non nascondere la propria femminilità, tuttavia, fa sì che i giudici di gara si accorgano già ai nastri di partenza del loro errore di valutazione: i tentativi di escludere l’atleta dalla corsa sono immediati.

Kathrine resiste agli strattoni per portarla via dalla pista, anche grazie all’aiuto del fidanzato Tom Miller, che si è iscritto insieme a lei proprio per aiutarla a completare la sua impresa. La maratoneta porta così a termine la gara, raggiungendo il traguardo in 4 ore e 20 minuti.
Ha dimostrato che lo sport femminile ha pari dignità di quello maschile, che una donna può fare tutto e, insieme a Tom, che uomini e donne non sono nemici o rivali ma possono lavorare insieme per raggiungere l’uguaglianza. È entrata nella Storia.

Il traguardo

Le immagini di Kathrine Switzer che corre la maratona di Boston, mentre gli organizzatori cercano di spingerla via, fanno il giro del mondo. E proprio la reazione violenta suscitata durante la corsa smuove gli animi, dando vita ad un movimento di opinione su larga scala.

Due anni dopo, nel 1971, le atlete sono ammesse alla maratona di New York e tre anni dopo, nel 1972, è proprio Boston ad aprire anche alle maratonete. La specialità olimpica della maratona femminile verrà poi introdotta nel 1984, nell’edizione ospitata a Los Angeles.
Kathrine Switzer, dopo quel passo nella Storia, ha continuato a correre per i diritti delle donne. Schierata in prima linea per la partecipazione delle atlete alle maratone di tutto il mondo, nel 1974 si toglie anche una soddisfazione agonistica, vincendo la maratona di New York.

E ci è tornata, alla maratona di Boston, stavolta senza che qualcuno cercasse di spintonarla via. Nel 2017, cinquant’anni dopo la sua storica impresa, Kathrine Switzer si è iscritta alla competizione, stavolta con il suo nome per intero. Al petto, come un segno del destino, ancora una volta la cifra 261.
Dopo quell’edizione, quel numero sarà ritirato dagli organizzatori in suo onore, per restare per sempre legato a un’incredibile impresa che, a partire da due sole iniziali, ha cambiato per sempre la Storia.

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