Sport: hobby o lavoro?

Lo sport è da sempre uno dei fiori all’occhiello del nostro Paese, che vanta una tradizione vincente in un numero enorme di discipline sportive, colleziona vittorie e alza ogni giorno un po’ di più l’asticella del talento.
Quale che sia lo sport praticato, per mantenersi ad altissimi livelli l’attitudine non è sufficiente: sono necessari dedizione, impegno, allenamento costante, pazienza e determinazione. Un lavoro continuo, insomma. Ma in Italia lo sport può essere considerato una professione?

Ad oggi nel nostro Paese sono solo quattro le discipline sportive considerate professionistiche: calcio, golf, ciclismo e basket (per quanto riguarda la serie A1). Tutti gli altri atleti, nonostante profondano lo stesso impegno nella preparazione e conquistino gli stessi successi, sono relegati indistintamente nel panorama dei dilettanti.
E per le donne? La situazione peggiora ulteriormente perché delle 4 federazioni che ammettono il professionismo in campo maschile solo due fanno lo stesso nel femminile: golf e, proprio dalla prossima stagione, calcio.

La svolta del calcio femminile

La notizia è recente: il 26 aprile scorso la FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio) ha finalmente approvato le modifiche che renderanno la serie A femminile uno sport professionistico. L’innovazione sarà operativa dalla prossima stagione, cioè a partire dal 1 luglio 2022, e si inserisce in un programma quinquennale di sviluppo del settore femminile.

Si tratta di un passo all’apparenza banale ma in realtà fondamentale, arrivato dopo decenni di dibattito e di mobilitazione da parte delle calciatrici, che hanno sempre chiesto a gran voce l’equiparazione dei loro diritti a quelli dei colleghi uomini.
Per la prima volta, anche le donne avranno così accesso a contratti e contributi previdenziali: se vi sembra tutto estremamente ovvio, provate a considerare che si tratta invece di una svolta epocale, dato che in Italia sono ben pochi gli sportivi a godere di queste “agevolazioni” e a poter vivere effettivamente del proprio lavoro.

Finalmente, le calciatrici della serie A italiana, dunque, avranno accesso non solo al sistema contributivo ma anche ad una serie di tutele finora impensabili che riguardano gli infortuni o la maternità.
Certo verrebbe da dire: “e tutte le altre sportive?” Sicuramente il passo della Federcalcio non è e non può essere considerato un punto d’arrivo. È però un inizio che, si spera, verrà seguito da ulteriori Federazioni e verrà esteso alle altre serie del panorama calcio.
La strada, comunque, è -purtroppo- ancora in salita: pur approdate finalmente al professionismo, infatti, le giocatrici di serie A femminile continuano a vivere un gap salariale evidente rispetto ai colleghi.
Gap che alcune nazioni stanno comunque già affrontando: è di pochi giorni fa la notizia che la nazionale di calcio femminile degli Stati Uniti vedrà equiparati i suoi stipendi a quelli delle controparti maschili.

La lunga marcia dell’uguaglianza

Sport femminile

C’è da dire che il “problema sport“, in Italia, viaggia su un doppio binario: da una parte ci sono le -ancora- evidenti disparità di genere nelle discipline professionistiche, dall’altra c’è il mare magnum del dilettantismo dove, va riconosciuto, non vengono fatte troppe distinzioni tra settore maschile e femminile perché per tutti è molto difficile veder considerato il proprio lavoro.

Non è un caso, infatti, che in Italia la parte del leone la facciano in molti casi i gruppi sportivi armati, pressoché unico modo per gli atleti di allenarsi a tempo pieno. Per un atleta di talento in una disciplina sportiva dilettantistica, qualunque sia il suo genere di appartenenza, arriva sempre il momento di sciogliere un nodo all’apparenza inestricabile: abbandonare lo sport per potersi guadagnare da vivere oppure entrare a far parte di un gruppo sportivo militare. Per tutti quelli nel mezzo, resta una vita di enormi sacrifici per poter portare avanti la propria passione, che nel nostro Paese si fatica molto a vedere per quello che è: un lavoro vero e proprio.

Se la questione del dilettantismo si rivela quindi trasversale, è innegabile che la marcia delle donne nel sistema sport è stata lunga e tortuosa e sembra ancora lontana dal tagliare il traguardo. Abbiamo ricordato alcune delle tappe fondamentali delle donne nello sport in questo articolo, così come abbiamo avuto modo di celebrare il ricordo di Kathrine Switzer e della sua impresa alla maratona di Boston.
Di strada da percorrere ce n’è ancora molta ma passi importanti sono stati compiuti e l’ingresso della serie A di calcio nel mondo del professionismo è decisamente uno di questi.

Una rivoluzione che parte dalla narrazione

Sport femminile

Che uomini e donne, in Italia, non guadagnino allo stesso modo è una triste realtà che coinvolge tutti i settori lavorativi o quasi.
Nel caso dello sport, tuttavia, la problematica si mostra con ancora maggiore evidenza.
Le ricerche Istat vedono una percentuale sempre crescente di donne coinvolte nel sistema sport, con un numero enorme di campionesse in ogni specialità. Le ultime Olimpiadi, inoltre, hanno segnato un importante primato perché per la prima volta la delegazione italiana ha visto una perfetta parità tra componenti maschili e femminili.
Eppure partecipazione e bravura non bastano a colmare la differenza economica tra i generi: basti pensare che a livello femminile l’unico sport in grado di generare ricavi è il tennis.

Questo accade principalmente perché in Italia la cultura dello sport femminile è ancora in formazione e risulta difficile per le sportive superare i pregiudizi e farsi prendere sul serio. Una problematica portata alle massime evidenze dal calcio femminile: poco seguito e considerato da molti tifosi quasi un’imitazione del “calcio vero”, rigorosamente giocato dagli uomini.

Il superamento degli stereotipi dovrà necessariamente avere un ruolo di primo piano nella “normalizzazione” dello sport femminile e, per raggiungerlo, giocherà in maniera determinante la narrazione: raccontare lo sport in toto, senza distinzioni, è la sfida da raccogliere per far sì che le differenze tra attività sportive femminili e maschili vengano sempre più annullate e perché si inizi finalmente a concepire lo sport come un unicum.

Una sfida che ci vede gareggiare tutti e che noi siamo pronte a vincere: facciamo squadra insieme?

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10 thoughts on “Sport, professione donna? – A che punto siamo col professionismo nello sport femminile”

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