Che gusto immaginiamo quando pensiamo alla felicità?

Al Bano e Romina, nella loro famosissima canzone, profetizzarono “Un bicchiere di vino con un panino”.

Che sia davvero così? Che la felicità stia nelle piccole cose, nella semplicità dei gesti spontanei, nella capacità di godersi il momento, nella volontà di rallentare?

Dopo la situazione di lockdown siamo ritornati agli impegni quotidiani con una velocità supersonica, incastrando appuntamenti ed incontri come a voler recuperare il tempo andato.

Ma quando poi finalmente di fermiamo e stacchiamo, ci riposiamo sul serio?

C’è chi ha fatto dello Slow Life, o Slow Living, un nuovo stile di vita: più attento alle esigenze della persona, alle relazioni sociali, elogiando lentezza e serenità.

Le origini di questa concezione più “lenta” della vita sono da ricercare agli anni ’80 con la nascita dello Slow Food, in contrapposizione al Fast Food, figlio del Capitalismo e del Consumismo.

Mangiare in modo più consapevole ed appagante significa creare un’esperienza di qualità piuttosto che di quantità.

Significa vivere il pasto anche come momento di condivisione e socializzazione, piuttosto che di individualismo e mero bisogno fisiologico.

Vivere Slow significa godere di ogni momento, assaporandone a pieno il gusto.

Vi avevamo già parlato di Gianluca Gotto nell’articolo Minimalismo-L’arte dell’essenziale con il suo blog MangiaViviViaggia, ed autore di diversi libri dedicati alla ricerca della felicità: “Le coordinate della felicità“, “Come una notte a Bali“, “Succede sempre qualcosa di meraviglioso“, “La Pura Vida“.

La sua è una ricerca di esperienze in giro per il mondo coniugando lavoro e relax, in armonia con i suoi tempi ed i suoi desideri.

Molti hanno seguito le sue orme di nomade digitale, viaggiando per il mondo e condividendo le loro storie sui Social.

Vi sono altri interessanti approcci alla felicità che si stanno diffondendo in Italia e nel mondo dai quali trarre ispirazione e lasciarsi affascinare.

La fuga al Nord: gli stili di vita dei Paesi scandinavi

In questi ultimi anni, dopo le influenze orientali, gli stili di vita nordici sono stati di grande ispirazione ed i Paesi scandinavi sono da tempo ai primi posti nella classifica dei luoghi più felici al mondo.

Su quali aspetti si basa la loro felicità? Si tratta di un mix di atteggiamenti ed abitudini finalizzati a creare relax e benessere.

Questi stili di vita nei paesi freddi aiutano anche a contrastare la depressione stagionale dei lunghi mesi invernali privilegiando momenti di condivisione, di allegria e “calore” sia umano che termico.

I termini che li caratterizzano sono Hygge, Sisu e Lagom.

Hygge è un termine danese che si pronuncia “hugga” ed indica un’atmosfera calorosa e intima.

Fa subito pensare a camini accesi, calde tazze di cioccolata e morbide coperte.

Una sensazione avvolgente e rilassante che profuma di coccole e tranquillità, da condividere con le persone care e gli animali domestici.

Sisu è invece una parola finlandese intraducibile che indica una vera e propria filosofia di vita intrecciando coraggio, ispirazione, resilienza e tenacia.

Ci immergiamo nella neve e nei boschi per ritemprarci e ri-tornare ad un contatto più profondo con noi stessi e con la natura.

Questo offre forse meno comodità ma è sicuramente più sfidante e soddisfacente.

Lagom è un termine svedese che si può tradurre con “vita equilibrata”.

Indica un atteggiamento orientato alla moderazione, alla solidarietà ed alla gentilezza.

Tutta la vita viene strutturata in un’ottica di sostenibilità ed equilibrio, con un profondo rispetto per la natura ed i tempi della persona.

Cohousing e Social Street: la felicità è condividere

Lo Slow Life può diventare non solo una scelta di vita personale ma anche una scelta abitativa e sociale.

Desiderare di essere più presenti e partecipativi nella propria zona di residenza vuol dire costruire rapporti di buon vicinato e di mutuo aiuto.

Vuol dire sentirsi meno soli e più sicuri.

Parliamo di Cohousing e Social Street: due modi di vivere la propria abitazione in un’ottica di condivisione e interazione per fare rete.

Il Cohousing nasce per progettare e sviluppare, insieme agli spazi abitativi della propria abitazione privata, spazi e servizi in comune, sia interni che esterni, seguendo i principi della sostenibilità sociale, ambientale ed economica.

Spazi dove incontrarsi, vivere in collaborazione e in solidarietà e che possono essere una lavanderia, una caffetteria, una biblioteca, un micronido, aree per laboratori, orti e giardini comuni.

L’idea è nata in Danimarca negli anni ’60 e si è poi sviluppata in tutto il mondo.

In Italia sta piano piano prendendo piede ed interessa molto anche alle amministrazioni locali per garantire una buona qualità della vita, mutuo aiuto, protezione e sicurezza in primo luogo a persone anziane e fragili.

La prima Social Street è nata in Via Fondazza a Bologna nel 2013 da un’idea di Federico Bastiani per creare rapporti con i vicini di casa, far giocare insieme i bambini e darsi una mano.

Da lì si è poi ampliata ed è sbarcata su Facebook dove è stato creato un gruppo di condivisione fondato sull’idea della “socialità disinteressata” e diventando così ancora più “social”.

Su questo sito Social Street potete trovare le loro linee guida che si basano su tre principi fondamentali: socialità, gratuità ed inclusione.

Da allora sono nate circa 450 Social Street in tutto il mondo e su Facebook è stata creato anche il gruppo Social Street International che raccoglie le diverse iniziative in Italia e all’estero.

Felicità al lavoro

Gran parte del nostro tempo lo trascorriamo lavorando e sappiamo quanto sia importante trovare un ambiente sereno e collaborativo.

Le aziende stanno dando sempre più importanza al benessere dei dipendenti e alla gestione di problematiche come il tecnostress, legato all’utilizzo massivo di tecnologie informatiche durante i periodi di smartworking.

Empatia ed inclusività sono elementi indispensabili per migliorare i luoghi di lavoro ed il dibattito, a riguardo, è molto aperto.

La psicologa Marta Casonato ha organizzato un corso in “Contesti e strumenti per il benessere e la felicità” presso l’Università di Torino, proprio su queste tematiche.

Lei suggerisce 5 consigli pratici per migliorare la felicità al lavoro:

  • Aiutare i colleghi e i clienti, ci fa sentire utili ed in connessione con gli altri;
  • Riconoscimenti da parte dei superiori, tra colleghi e tra noi stessi;
  • Multitasking no, organizzazione e condivisione si;
  • Ordine nei luoghi comuni e sulle scrivanie;
  • Fare una pausa.

Foto di Ivan Samkov-Pexels

Downshifting

Il Downshifting, inteso come “semplicità volontaria” e “vivere con meno”, è un concetto strettamente legato allo Slow Life ed abbraccia più il lato professionale ed economico dell’individuo proponendo una fuga dagli aspetti più consumistici e materialistici della vita quotidiana.

Si tratta di rallentare il ritmo e di essere meno ossessionati dall’ansia di apparire, guadagnare, possedere per recuperare serenità, valori e relazioni sociali.

Meno ore in ufficio, nel traffico e nel centro commerciale vuol dire più tempo per famiglia ed amici, più rispetto e contatto con la natura, più benessere e felicità.

Work – life balance

Conciliare vita personale e lavoro è una delle cose più difficili al mondo e mai come adesso, con lo scossone dato dalla pandemia, abbiamo dovuto ricostruire nuovi equilibri e creare nuovi ritmi.

Riprogettare quindi gli orari di lavoro, la flessibilità e la produttività appare allora indispensabile per migliorare l’organizzazione degli impegni senza aumentare lo stress e la frustrazione.

Qualche utile consiglio proposto dai consulenti per il lavoro:

  • Più tempo per le relazioni sociali;
  • Utilizzare il tempo libero per rilassarsi, senza “incastrare” troppi impegni;
  • Imparare a dire di NO;
  • Creare dei confini per arginare il lavoro: stop mail e telefonate dopo un certo orario;
  • Coltivare le proprie passioni senza sensi di colpa.

Foto di William Fortunato-Pexels

Attenzione alla felicità a tutti i costi

Alla luce di tutto questo, dobbiamo essere per forza tutti felici e sorridenti in una ricerca spasmodica di appagamento che genera essa stessa ansia invece che felicità?

Assolutamente no. La concezione di felicità è estremamente soggettiva e non deve diventare una “moda” pena il rischio che se non siamo felici siamo considerati dei perdenti.

E non facciamoci nemmeno ammaliare dai post scintillanti di Instagram dove la pseudo-felicità regna ovunque.

Diamoci il tempo per capire cosa ci piace veramente e cosa ci fa stare bene.

Ne beneficerà anche la nostra salute.

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