Quando la disabilità incontra la maternità

Antonella, Laura, Margherita, Pina, Samanta: cinque storie, cinque donne che ci hanno raccontato quanto le paure, le preoccupazioni, le ansie siano condivise dal momento in cui appare la seconda lineetta rosa sul test di gravidanza. In presenza di una disabilità o meno.

Incontriamo Samanta, Antonella e Laura online. Come in un cerchio di mamme qualsiasi e non in un’intervista per un magazine online, iniziamo a confrontarci sull’età che hanno i nostri figli, com’è andata la gravidanza, se abbiamo allattato o meno, i consigli non richiesti che puntualmente abbiamo ricevuto.

E subito, il racconto del divario tra una gravidanza di una persona non disabile e di una persona disabile prende il sopravvento.

Quanta letteratura medica abbiamo a disposizione per le gravidanze in caso di disabilità? Poca, anzi nulla.

Disabilmentemamme: da dove nasce questo progetto? E di cosa si occupa?

Laura: Prima di Disabilmentemamme c’era Diversamenteincinta e Diversamentemamma. Quando sono rimasta incinta, ho cominciato a cercare su Google informazioni sulla gravidanza e mentre sulla gravidanza trovavo tutto lo scibile umano, sulla disabilità e maternità invece nulla. C’era un silenzio che mi ha inghiottita. Mi sono chiesta cosa mi aspettasse anche alla luce del fatto che non esiste letteratura scientifica sulla maternità in situazione di disabilità. E così ho deciso di informare le mamme su cosa potersi aspettare durante la gravidanza e il passare delle settimane, facendo un diario settimanale.
Il mio progetto è uscito dai social, è arrivato sulla carta stampata e da qui abbiamo iniziato a fare rete. Sapevo di non essere l’unica mamma con disabilità al mondo (ride).

Come vi siete conosciute? E quando?

Antonella: Dopo essermi trasferita, ho iniziato a scrivere per Disabili Abili e sul blog, sfiancata dalle difficoltà che incontravo man mano che il bambino cresceva, ho lanciato un appello: “Ci sono altre mamme con disabilità?”. Mi risponde Samanta, creiamo un piccolo gruppo di quattro persone accumunate dalla tetraplegia spastica ma questo gruppo cresce sempre di più fino a raggiungere Facebook grazie all’incontro con Laura.

Cosa significa essere una mamma con disabilità? Cosa noi mamme non-disabili diamo per scontato e che a volte non lo è?

Laura: Io andavo nei negozi di passeggini e tutti mi consigliavano i passeggini più leggeri. Ma io cercavo proprio l’opposto! Il passeggino più pesante!
Samanta: Confermo, noi camminando ci appoggiamo al passeggino. Se è troppo leggero, veniamo giù con il bambino! Un’altra cosa che ci capita spesso è quando siamo in ospedale con i bambini (sono andata in ospedale perché la bimba aveva avuto un trauma cranico), i medici credono di dover visitare noi! Sempre! (ride)
Antonella: in ospedale anche a me ne sono successe tante! A partire dal parto: sono stata costretta a fare un cesareo perché nessuno si è preso la responsabilità di seguirmi in un parto naturale!
Samanta: Non c’è letteratura medica a riguardo ma una gravidanza fisiologica in una donna con tetraplegia spastica può concludersi in un parto naturale come il mio! Io ho partorito in posizione ginecologica (sdraiata con le gambe su sulla sedia ostetrica), perchè è possibile con la nostra patologia (la paralisi cerebrale infantile, qui un articolo per approfondire).

Oltre ad essere mamme con disabilità siete anche lavoratrici? Di cosa vi occupate?

Antonella: Io scrivo per la Gazzetta di Modena e per Disabili Abili. Alcune di noi lavorano, altre no. Purtroppo spesso sentiamo di doverci giustificare quando vogliamo lavorare nonostante percepiamo un reddito di sostentamento ma il lavoro nobilita l’uomo e non lo dico io, lo dice la Costituzione!
Laura: Sono rientrata nel mondo del lavoro quando il mio bambino aveva 9 mesi, lavoro a Bruxelles alla Casa della Storia Europea come storica contemporaneista.
Samanta: Sono laureata in filosofia e scrivo anch’io per Disabili Abili.
Antonella: La chiave di tutto è l’organizzazione ma non solo. Ci sono i papà! Questa figura mitologica che però esiste e la sua parte di responsabilità è in grado di assumerla.

Avrete seguito la vicenda che ha coinvolto Elisabetta Franchi e il diritto di lavoro delle donne. Cosa significa essere donna, mamma e persona con disabilità che cerca lavoro?

Mamma in carrozzina con il bimbo in braccio

Samanta: Lo stigma è doppio, anzi triplice. Già nel mondo del lavoro le donne guadagnano meno e vengono assunte di meno ma quando sei disabile il primo pensiero è: “Non sarà mai produttiva!”. Se poi sei mamma, ecco che lo stigma è triplice.
Antonella: Durante un colloquio di lavoro, ho dovuto gestire domande del tipo: “Ma sei disabile? E hai un figlio? Non ne vorrai fare un altro?”. Non credo che in una società civile siano domande da rivolgere ad una persona che lavorerà da remoto per tutta la durata della collaborazione…

Noi di ExtraWonders siamo molto sensibili al tema della disabilità e seguiamo attiviste che si occupano di divulgazione e inclusione. Sta cambiando qualcosa in Italia in termini di inclusività?

Laura: Vi sembrerà strano ma quello che noi vediamo è che se il papà è disabile è un gran figo, se facciamo un figlio noi mamme disabili siamo degeneri! Come se i figli li facessimo per partenogenesi! Spesso ho la sensazione che una madre con disabilità sensoriale sia socialmente più accettata rispetto ad una donna con disabilità motoria che vuole diventare mamma. È come se con la disabilità motoria noi diventassimo asessuate.
Samanta: In altri paesi esiste la sterilizzazione terapeutica delle donne con disabilità per evitare che le donne diventino madri con un corpo non perfettamente normotipico (per approfondire, il report del 2018 dello European Disability Forum, ndr).
Laura: Questa campagna di sterilizzazione nasce da una sottocultura ma l’Italia è tra le capofila in termini di inclusione. Vivo in Belgio, mio figlio non ha bambini disabili in classe perché ci sono le scuole “speciali”. Qui non esiste la scuola inclusiva e sebbene la loro ratio sia il prendersi cura in maniera speciale delle esigenze dei bambini disabili, io sono la dimostrazione che grazie al modello italiano io parlo quattro lingue, ho discusso a 29 anni un dottorato di ricerca, vivo e lavoro a Bruxelles e la settimana scorsa ho firmato tre saggi in inglese. Siamo capaci di fare una scuola “normale” ed io non sono un genio. Sono solo una persona che ha avuto la possibilità di fare un percorso di studi.

C’è ancora tanta strada prima di poterci definire una società civile. Da dove partireste in termini di diritto sociale per sradicare i pregiudizi abilisti?

Samanta in ospedale

Laura: Si prospettano soluzioni molto semplici per disabili tipo l’assistente sessuale. Ma invece di parlare di assistente sessuale (che per alcune patologie gravi può essere ben codificata), basterebbe forse partire dall’accessibilità di cinema, università e tutti i luoghi di inclusione sociale e vediamo se non sono in grado di trovare un compagno o una compagna di vita!
Samanta: la mia gravidanza è stata una continua conquista di diritti negati! Ho sempre voluto evitare un cesareo, ho subito tanti interventi da bambina, non volevo pensare anche di partorire con un intervento. La gravidanza è stata fisiologica, ho affrontato diversi colloqui con neurologo e ortopedico che mi danno l’ok al parto naturale. In letteratura, non ci sono precedenti (o almeno non in Italia), sapevo di poter affrontare il parto naturale nonostante avessi un cesareo programmato. Così all’ottavo mese cerco un ospedale in grado di sostenere la mia scelta e lo trovo a Como dove ottengo finalmente il mio desideratissimo parto naturale che farà parte di una pubblicazione medica.

Parliamo di linguaggio: in ExtraWonders siamo molto attente a come usiamo le parole e siamo convinte che sforzarci di usare un linguaggio rispettoso e inclusivo sia il primo passo per imparare a pensare in maniera rispettosa e inclusiva. Ci aiutate a ragionare insieme?

Antonella: Noi non siamo la nostra disabilità. Abbiamo le stampelle ma non siamo le nostre stampelle.
Samanta: Io ballo, io disegno ma non sono “speciale”. Ho un’identità e sono una persona al di là della tetraparesi. Siamo disabili ma non siamo la nostra disabilità.

Quali sono le parole che nel 2022 dovremmo FINALMENTE cancellare dal vocabolario quando si parla di disabilità?

Margherita e il suo pancione

Laura: “Costretto sulla sedia a rotelle”…Mai più! (sorride)
Antonella: siccome non siamo barattoli di marmellata ma siamo persone, togliamo le etichette…Sono Antonella, sono Laura.
Samanta: Io credo invece che si possano usare tutte le parole ma ciò che le determina è l’intenzione dietro le parole. Io posso dire di me stessa che sono una persona disabile, sono io che la uso con una certa intenzione. Le parole sono sempre le stesse e rimangono parole.

Non posso prendermela se dicono di me che sono una persona disabile; mi arrabbio se lo dicono facendo emergere la mia disabilità come un mio limite.

The Next Step: il prossimo passo quale sarà per il vostro progetto?

Insieme: Tantissimi!
Antonella: Inizio io. Disabilmentemamme insieme ad Anffas Onlus e al Ministero della Salute con la dottoressa Domenica Taruscio sta facendo il primo censimento ufficiale delle donne disabili che partoriscono perchè avere una documentazione vuol dire per le donne più diritti.
Inoltre abbiamo creato delle stampelle con i gommini antiscivolo per poter entrare in acqua ed uscire dall’acqua in autonomia.
Stiamo creando in collaborazione con il Centro Antiviolenza di Modena un punto di ascolto perchè molte persone disabili vengono maltrattate dagli stessi caregiver portandosi dietro quindi una doppia difficoltà: la paura di denunciare in generale e la paura di denunciare un marito, un parente, una persona che dovrebbe prendersi cura di loro in particolare.
Laura: stiamo lavorando con l’On. Chiara Gribaudo ad una proposta di legge in tre punti tra cui l’attribuzione del codice ospedaliero per le mamme disabili. Chiediamo infatti un codice che che comprenda sia il periodo della gravidanza che il post-partum e che preveda non solo l’esenzione per determinate visite o analisi, ma anche l’attivazione immediata di una serie di percorsi (l’ortopedico, l’oculista, la fisioterapia domiciliare ecc). L’estensione del periodo di congedo della maternità e sgravi fiscali per chi assume una mamma disabile sono gli altri due punti inseriti nella proposta.
Samanta: E il nostro libro con le nostre storie e interviste con specialisti professionisti.

Noi di ExtraWonders siamo un po’ sognatrici…Cosa desiderate o sognate per il futuro?

Antonella: Sogno un futuro in cui la mia disabilità non pesi su mio figlio.
Samanta: Penso che il pensiero di Antonella sia il mio stesso pensiero. Vorrei che mia figlia non senta il peso della sua mamma, che sia libera e che la mia disabilità non la limiti. Vorrei che fosse fiera di me.
Laura: Quando parlo nelle scuole inizio sempre facendo una passeggiata chiedendo: “Cosa vedete?”. Nessuno vede mai niente. “Sono guarita stanotte e non me ne sono accorta!” e così le prime mani si alzano e arrivano le prime domande. La nostra società non ci abitua alla disabilità. La disabilità è qualcosa che non deve interessarci, qualcosa che ci inibisce, “fai finta di niente”, non si guarda, non si chiede. Il problema non sono le domande dei bambini ma il fatto che i genitori non abbiano le risposte alle loro domande.

Sogno un mondo in cui alla domanda di un bambino: “Perchè quella signora è così?”, un genitore risponda: “Andiamo a chiederglielo”. Un mondo in cui creiamo relazioni grazie ad una domanda.

Per conoscere di più la pagina Disabilmentemamme potete cliccare qui.

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