Sì, ero anch’io tra i tanti, tantissimi fortunati che recentemente è stato ad un concerto dei Coldplay.

Un concerto spettacolare, curato nei minimi dettagli, ricco di effetti speciali.

Il concerto dei Coldplay è, tra le varie cose, all’insegna della sostenibilità. Del resto, era impossibile non notare lo sforzo profuso per far arrivare questo messaggio. E io mi chiedo: si saranno forse sforzati troppo?

L’apparente sostenibilità pervade tutta la serata, dall’invito a riciclare i braccialetti negli appositi contenitori (ma non potevamo evitare i rifiuti, invece di riciclarli?) alle bici la cui pedalata sarebbe in grado di alimentare tutto l’impianto elettrico di San Siro.

E infine, l’immancabile: niente bottiglie di plastica usa e getta.

Così, chi, temendo i 30 gradi delle giornate milanesi, ha portato nello zaino una bottiglietta, ha dovuto consegnarla all’ingresso per essere buttata, magari piena. Sostenibile no?

Avrete sicuramente notato che molte aziende si sono affrettate a sostituire tutto o parte del loro packaging con cartone o vetro, sottolineando con numerosi claim l’impegno a eliminare la plastica monouso.

Ma cosa ci ha fatto di così brutto la plastica?

Un’invenzione geniale

Con il termine plastica si intendono materiali polimerici, che possono contenere altre sostanze volte a migliorarne le proprietà, o ridurne i costi. Si tratta di una famiglia gigantesca di materiali diversi da loro e ciascuno trova impiego in numerosi settori.

All’interno di questa grande famiglia troviamo il PET, quello delle bottigliette tanto odiate, il polistirolo, le schiume di poliuretano.

La plasticità è un termine che si usa anche per indicare la deformabilità dei materiali, in un certo senso la sua flessibilità e resistenza agli sforzi. Questa caratteristica permette di ottenere le numerose forme e spessori che conosciamo e impieghiamo quotidianamente. Guardate gli oggetti intorno a voi, quanti di essi sono di plastica o ne contengono?

La plastica ha conquistato il mondo in meno di un secolo, grazie anche al fatto che i costi di produzione si sono abbassati velocemente, e questo ne ha favorito la sua diffusione a partire dagli anni 50′. Sono pochi i materiali che presentano questi vantaggi e questa versatilità, che siano allo stesso tempo leggeri ma resistenti. Grazie alla plastica si può costruire quasi tutto, in serie, in grandissima quantità, con resistenza unica, a basso costo.

Si può dire che senza plastica la nostra società non si sarebbe evoluta in questo modo. Sicuramente ha giocato un ruolo fondamentale nella sanità, nell’industria alimentare. Pensiamo a tutti i cibi che prima potevamo conservare sotto sale, e adesso possiamo mettere nel tupperware e tenere in frigo fino a 5 giorni. Pensiamo a tutti i cibi che si deperirebbero nel trasporto, se non avessero imballaggi resistenti di plastica. Oggi, dipendiamo dalla plastica.

Le isole di plastica

Visto che la plastica sembrava un’invenzione geniale, abbiamo finito per abusarne. Il suo punto di forza, la resistenza, si è rivelato essere anche la sua debolezza maggiore. La plastica infatti ha tempi di degradabilità lunghissimi, dell’ordine delle centinaia di anni. In pochissimo tempo la produzione di plastica è aumentata in modo esponenziale, senza una vera idea di come smaltirla. Così, è finita negli oceani.

Nel corso del tempo, nei nostri oceani si sono aggregate ingenti quantità di plastica, che hanno formato delle vere e proprie isole.

Le correnti oceaniche hanno incanalato la plastica incontrata in zone precise dell’oceano, che continuano ad aumentare le loro dimensioni giorno dopo giorno. È difficile stimarne la dimensione, visto che le isole di plastica non si limitano a galleggiare in superficie ma si estendono anche in profondità, e si spostano seguendo le correnti oceaniche.

Tuttavia, sono così grandi e stabili che alcuni animali le hanno colonizzate, nonostante i notevoli rischi che rappresentano per gli ecosistemi. E, proprio come delle regioni, sono localizzabili. Ad oggi, ne sono state individuate almeno 7.

La più grande delle isole di plastica, la Great Pacific Garbage Patch, si trova nell’Oceano Pacifico, tra la California e l’Arcipelago Hawaiano, e ha raggiunto una superficie grande approssimativamente quanto quella della Penisola Iberica.

Di tutta la plastica che è stata prodotta tra gli anni 60 e il 2017, si stima che 9 miliardi di tonnellate non siano stati riciclati affatto. Di questi, la metà è stata prodotta all’inizio del secolo, ma ben poca è ancora in uso. Abbiamo quindi prodotto tantissima plastica in poco tempo, usandola e gettandola subito dopo.

Il problema della plastica è che solo in parte può essere riciclata. E così, la sua durevolezza diventa il suo punto debole. La plastica rilasciata in ambiente vi rimane praticamente per sempre.

Foto di Sergei Tokmakov, Esq. https://Terms.Law da Pixabay

I principali nemici della plastica: il vetro

Se pensiamo all’acqua o ad altri liquidi come il latte, ad esempio, si stanno facendo strada diverse alternative per inscatolare l’acqua e venderla. Ad esempio, il vetro e, recentemente ha fatto la sua comparsa anche il cartone. Ma sono davvero più sostenibili?

Il problema della sostenibilità è che non è un parametro assoluto, come molte campagne di marketing cercano di dimostrare. È però un parametro valutabile e il modo più attendibile è il Life Cycle Assessment, o LCA, che permette di analizzare l’impatto durante tutto il ciclo di vita di un prodotto.

Scopriamo quindi ad esempio che il vetro a rendere spesso è meno sostenibile della bottiglia in PET riciclato. Questo perché il vetro ha un peso molto maggiore della plastica, con conseguente aumento dell’energia necessaria per trasportarlo. E poi, in quante situazioni possiamo portare con noi l’acqua in vetro, senza rischiare di romperla?  

Ci sono situazioni in cui la bottiglia in PET, ormai in materiale riciclato, rappresenta la soluzione migliore o l’unica praticabile.

Infatti, anche usare una borraccia e lavarla continuamente rischia di essere più impattante di utilizzare una bottiglia in plastica.

Se pensiamo al caso dell’acqua, però, il consumo cospicuo di acqua minerale fa pensare che il problema non sia la plastica, quanto la poca fiducia nell’acqua del rubinetto. Quella viene trasportata senza imballaggi.

Plastic free July

Il Plastic Free July è un’iniziativa della Plastic Free Foundation che lavora per ottenere un mondo libero dai rifiuti di plastica. 

Avviato da Rebecca Prince-Ruiz (fondatrice della Plastic Free Foundation) e da un piccolo gruppo del governo locale dell’Australia Occidentale, è ora una delle campagne ambientali più influenti al mondo. Milioni di persone in tutto il mondo partecipano ogni anno, impegnati a ridurre l’inquinamento di plastica ben oltre il mese di luglio.

La fondazione condivide soluzioni e piccoli suggerimenti per minimizzare il consumo di plastica monouso a partire dal mese di luglio, ma auspicabilmente per tutto l’anno.

Si tratta di una sfida volta a far riflettere su tutta la plastica monouso che usiamo ogni giorno. I partecipanti sono invitati a condividere storie ispirazionali, raccontare come hanno ridotto l’uso della plastica monouso, le difficoltà che hanno incontrato e le lezioni imparate.

L’obiettivo di questa iniziativa è dare alle persone l’opportunità di vedere che davvero non hanno bisogno di molti degli imballaggi che portiamo nella nostra casa, che molti alimenti possono essere fatti da zero e non sono così difficili come possono sembrare.

Tuttavia, la riflessione può essere facilmente estesa a tutti i contenitori e imballaggi monouso che usiamo. Non ha senso ridurre la plastica monouso se la sostituiamo con cartone monouso. Quanti bar continuano a servire comunque le bevande in contenitori usa e getta, solo che ora sono di cartone?

E la plastica compostabile e biodegradabile? Che prospettive per il futuro?

Vi è un numero crescente di altri tipi di imballaggi monouso biodegradabili e compostabili. Tuttavia, l’idea di Plastic Free July è quella di evitare oggetti monouso dove possibile, semplicemente evitando o scegliendo alternative riutilizzabili durevoli. ‘biodegradabile’ e ‘compostabile’  hanno significati di ampio respiro e spesso non degradano nell’ambiente come vorremmo. Sebbene anche questi prodotti si siano diffusi largamente, non possono essere la risposta per la riduzione dei rifiuti. In più, molti dei nostri sistemi di trattamento rifiuti non sono in grado di smaltirli e non possono quindi essere riciclati come dovrebbero.

Prosegue la ricerca su alternative meno impattanti, ad esempio biopolimeri prodotti dagli stessi rifiuti, ma non basta.

Se continuiamo così, entro il 2060 la quantità di rifiuti plastici potrebbe triplicare.

L’Unione Europea sta già prendendo delle misure per ridurre la quantità dei rifiuti di plastica, ma ciò non significa bannarli in senso assoluto e senza prevedere alternative. E un processo graduale che si basa su sforzi e, purtroppo, anche fallimenti. Il problema della plastica infatti non è solo la grande produzione ma l’impossibilità di tracciarla e capire dove vada a finire. E avere un sistema di riciclo e riutilizzo che sia realmente sostenibile ed efficiente in tutte le fasi. In Europa è la termovalorizzazione il modo più usato per smaltire i rifiuti di plastica, in modo da ottenere energia dagli scarti.

Ma metà della plastica raccolta per il riciclaggio viene esportata per essere trattata in altri paesi, per la mancanza di strutture, tecnologia o risorse finanziare adeguate a trattare localmente i rifiuti.

È fondamentale rivedere la produzione e l’impiego delle plastiche e di tutti i dispositivi monouso, l’intero ciclo di utilizzo, migliorando i sistemi di recupero e riciclo. Ma non solo.

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