Il procedimento violenza domestica o di genere

Affinchè non si parli di violenza di genere solo in occasione del 25 Novembre, durante la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, vogliamo parlare di alcuni degli strumenti che l’ordinamento italiano mette a disposizione delle donne, ma anche di uomini, che subiscono atti di violenza domestica.

Recentemente la materia è stata oggetto di una modifica legislativa ad opera del decreto Catarbia (d.lgs n. 149/2022), il quale ha inserito una disciplina specifica per i procedimenti in cui siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere messe in atto da una parte nei confronti dell’altra o dei figli minori.

Con violenza di genere (contro le donne) si intendono quelle violenze fondate sulle differenze sociali fra uomini e donne. Con violenza domestica si intendono quelle violenze che avvengono nella quotidianità familiare o nell’ambito privato.
E’ stata introdotta nel codice di procedura civile una sezione interamente dedicata alle violenze domestiche o di genere, dagli artt. 473 bis.50 a 473 bis.46 c.p.c..

E’ stata introdotta di ricorrere al giudice in caso di violenza domestica o abusi, indipendentemente e prima dell’eventuale procedimento di separazione, divorzio o affidamento, ed è regolata dall’art. 473 bis. 40 e seguenti c.p.c.

La domanda si propone con ricorso e l’interessato deve indicare da subito: i mezzi di prova e i documenti, in caso di figli minori gli elementi per ricostruire redditi e patrimoni delle parti, e dando conto dei procedimenti definiti o pendenti relativi ad abusi o violenze, allegando oltre ai provvedimenti relativi anche copia degli accertamenti svolti e dei verbali relativi all’assunzione di sommarie informazioni e di prove testimoniali.

Il giudice dispone di ampi poteri istruttori per accertare le condotte, e poteri di accelerazione del procedimento, abbreviando fino alla metà i termini per gli adempimenti che precedono l’udienza di comparizione. All’esito dell’istruttoria, nella quale il giudice può disporre d’ufficio prove testimoniali formulando i capitoli di prova, acquisire atti presso uffici pubblici e relazioni ed interventi delle forze dell’ordine, nominare un consulente tecnico, in caso di fondatezza della domanda, vengono emessi gli ordini di protezione.

Ai sensi dell’art. 473 bis.70, gli ordini di protezione possono durare al massimo un anno e consistere nell’ordine di cessazione della condotta di abuso o di violenza, fino anche all’allontanamento dal domicilio familiare della parte responsabile e al divieto di avvicinamento alle vittime.

Quando la vittima degli abusi o delle violenza viene inserita in collocazione protetta presso una struttura, il giudice, se lo ritiene opportuno per la sicurezza, può disporre la secretazione dell’indirizzo della struttura.
Con il decreto di fissazione dell’udienza, il giudice chiede al pubblico ministero e alle altre autorità competenti le informazioni circa l’esistenza di eventuali procedimenti relativi agli abusi e alle violenze allegate, definiti o pendenti, e la trasmissione dei relativi atti non coperti dal segreto di cui all’articolo 329 del codice di procedura penale. Il pubblico ministero e le altre autorità competenti provvedono entro quindici giorni a quanto richiesto.

Le parti non sono tenute a comparire personalmente all’udienza. Se compaiono, il giudice si astiene dal procedere al tentativo di conciliazione e dall’invitarle a rivolgersi ad un mediatore familiare. Può comunque invitare le parti a rivolgersi a un mediatore o tentare la conciliazione, se nel corso del giudizio ravvisa l’insussistenza delle condotte allegate.

Se all’esito dell’istruzione, anche sommaria, ravvisa la fondatezza delle allegazioni, il giudice adotta i provvedimenti più idonei a tutelare la vittima e il minore, tra cui gli ordini di protezione previsti dall’art. 473-bis70 c.p.c., e disciplina il diritto di visita con individuazione delle modalità idonee a non compromettere la loro sicurezza (art. 473 bis.46 c.p.c.).

In particolare, il Giudice può ordinare al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta, disporre l’allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dal beneficiario dell’ordine di protezione ( come luogo di lavoro, domicilio della famiglia di origine, domicilio dei prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli).

Il giudice può altresì disporre, ove occorra, l’intervento dei servizi sociali del territorio, nonché delle associazioni, che abbiano come scopo il sostegno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati, nonché il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti di cui al primo comma, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma sia versata direttamente all’avente diritto dal datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante.

Con il medesimo decreto il giudice, nei casi di cui al primo e al secondo comma, stabilisce la durata dell’ordine di protezione, che decorre dal giorno dell’avvenuta esecuzione dello stesso. Questa non può essere superiore a un anno e può essere prorogata, su istanza di parte o, in presenza di minori, del pubblico ministero. soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario.

Con il medesimo decreto il giudice determina le modalità di attuazione. Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all’esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per l’attuazione, ivi compreso l’ausilio della forza pubblica e dell’ufficiale sanitario.

A tutela della vittima e del minore, il giudice può altresì disporre, con provvedimento motivato, l’intervento dei servizi sociali e del servizio sanitario.
Quando la vittima è inserita in collocazione protetta, il giudice può incaricare i servizi sociali del territorio per l’elaborazione di progetti finalizzati al reinserimento sociale e lavorativo.

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