Sono tornata da circa un mese dall’ultimo viaggio che mi ha portato in Algeria dove, scendendo da Algeri verso sud, ho visitato la pentapoli ibadita di Ghardaia, mi sono inerpicata sulle vette dell’Hoggar, ma soprattutto ho raggiunto il Sahara immenso e spettacolare con le sue dune dorate intervallate da  massicci montuosi.

Algeri la città bianca

Raggiungiamo Algeri in un paio d’ore di volo da Roma e scopriamo questa splendida città sdraiata su una baia a forma di mezzaluna e sui colli che la circondano. La città bianca, che fu prima base corsara ai tempi della barberia, poi dominata dagli ottomani e poi divenne centro residenziale durante il periodo coloniale francese, è una mescolanza di architetture diverse che ne fanno una delle città più affascinanti e raffinate del Maghreb.

Algeri

Il cuore della città è sicuramente la Kasbah, l’antica cittadella fortificata, dove, scortati dalla polizia ci addentriamo nelle stradine strette e tortuose, tra le case bianche su cui risaltano belle porte di legno e piccole finestrelle. Non capiamo il perché della scorta visto che l’atmosfera è  tranquilla e  la gente estremamente ospitale, comunque dopo un po’ ci facciamo prendere dal fascino delle viuzze e delle antiche case e ci scordiamo della polizia. Ogni tanto ricchi palazzi interrompono le stradine di case bianche e ci mostrano splendidi cortili e sale piastrellate.

Poi raggiungiamo la strada costruita dai francesi che taglia la medina. Da qui inizia il quartiere francese ricco di eleganti palazzi che sopra il porto danno vita a boulevard di stile parigino. Una vera sorpresa!

Ma anche fuori dalla Kasbah ci sono luoghi che meritano una visita come il  Monumento ai Martiri, un’enorme palma stilizzata che domina una delle colline su cui posa la città, il Jardin d’essai lo splendido ed enorme parco creato per lo studio e la ricerca sull’adattamento delle piante in questo paese o la nuova immensa moschea  Djamaa el Djazair.

Ghardaia e la valle dello M’zab

A più di 600 km a sud di Algeri raggiungiamo, con un volo interno, Ghardaia una delle città della pentapoli della valle del M’zab. La sua oasi è enorme e ospita cinque cittadine fondate nell’XI secolo dagli Ibaditi, una corrente mussulmana che si allontanò dall’Islam più ortodosso e si trasferì dal nord in questa area. ( https://www.rivistaetnie.com/ibaditi-valle-dello-mzab-110129/)

Ghardaia

Le cinque cittadine fortificate sorgono tutte su colline e presentano nella parte più alta il minareto mentre  il resto dell’abitato cende verso la valle. In tutte rimane il nucleo storico  ben conservato e ancora abitato e protetto dalla comunità ibadita. Non è possibile visitarlo senza una guida della comunità ed all’interno è proibito fumare, fotografare le persone e essere vestiti in modo discinto.

Ne visitiamo tre delle cinque (a Melika non è possibile accedere se non si è ibaditi) e la struttura è per tutte un intrico di stradine strette dove si affacciano le porte  delle case e piccole finestre. La cultura di questo popolo prevede anche che le donne siano completamente coperte da un abito bianco e che possano mostrare solo un occhio. Sembrano fantasmi che si aggirano tra le stradine e, nonostante non mostrino praticamente nulla, quando ci incrociano addirittura si nascondono negli angoli delle case. Nonostante le spiegazioni della guida che insiste nel dire che non è un’imposizione islamica, ma una tradizione culturale che arriva dall’antichità, ci è difficile capire la realtà inquietante che vivono queste donne.

Le città sono tutte veramente belle per il colore dorato delle case adagiate sulle colline come enormi presepi. Ghardaia è il centro dei commerci di tutto il Sahara e lo si può vedere dal mercato ricco di datteri (squisiti, potrei mangiarne all’infinito!) e tappeti mentre Beni Isguen è famosa per il suk e il Marché a la Criée , un mercato all’asta di oggetti usati.

Un angolo di mondo e una realtà che non conoscevamo che si è preservata nel tempo quasi cristallizzata .

Tamanrasset  e l’Hoggar

Con un paio d’ore di volo ci spostiamo più a sud nell’area della cittadina di Tamanrasset e dei monti dell’Haggar tra cui spicca la cima dell’Assekrem di circa 2800 metri il cui nome significa “la fine del mondo”.

La cittadina si presenta come un paesone polveroso ai margini del deserto, una volta accampamento tuareg, dove nei primi anni del ‘900 arrivo Charles de Foucault, un personaggio dalle mille sfaccettature che divenne sacerdote e si ritirò sulle montagne per essere più vicino alla popolazione tuareg. ( https://www.famigliacristiana.it/articolo/charles-de-foucauld.aspx )

Il fortino di Charles de Foucault

In città rimangono tracce del suo passaggio nel fortino di fango costruito per proteggere la popolazione in caso di assalti dove però il sacerdote fu ucciso in un agguato, nella casa che costrui, la prima casa in muratura in pratica  un parallelepipedo di fango e legno e nella presenza di alcuni fratelli e sorelle dell’ordine dei Piccoli Fratelli di Gesù che lui fondò.

Da qui partiamo con delle jeep scortati dalla polizia per salire sui monti dell’Haggar fino all’eremo di Charles de Foucault. Usciti dalla città il paesaggio diventa sempre più arido e roccioso, ma veramente affascinante. Lungo la strada facciamo sosta nella guelta di Afilal, un’oasi attorno ad un piccolo wadi che forma pozze d’acqua tra il verde delle acacie; incredibile in mezzo a questo terreno inospitale. Poi continuiamo a salire sulla strada che si fa sempre più impervia e scassata fino a raggiungere il rifugio in cui passeremo la notte. Lasciati i bagagli e sistemati i sacchi a pelo nella camerata saliamo a piedi il tratto che ci separa dall’eremo dove ancora vivono un paio di monaci.

La salita è faticosa anche a causa dell’altitudine, ma quando si raggiunge la vetta lo spettacolo toglie il fiato. Tutto attorno si svelano  le catene dei monti dell’Haggar, imponenti e quasi lunari in un silenzio profondo che invita alla meditazione. Restiamo ad aspettare il tramonto completamente presi dall’atmosfera che ci circonda e, quando il sole calando colora di rosa le cime delle montagne, scendiamo portando con noi un momento emozionante che non dimenticheremo facilmente . 

Il deserto

Con un altro volo raggiungiamo Djanet un ultimo avamposto prima dell’enorme deserto del Sahara e ci prepariamo per un giro di sei giorni in questa zona di deserto conosciuta come deserto del Tradart . Abbiamo 4 jeep una con la cucina e il cuoco e le altre per noi e per i nostri bagagli ridotti a quel poco che serve e alle provviste. La strada asfaltata esce dalla cittadina e subito il paesaggio si fa desertico. Raggiungiamo il bivio tra dove si dipartono le strade che vanno in Niger e in Libia e prendiamo quella verso la Libia. Inizialmente la strada scorre tra una catena montuosa da un lato, dove si vedono stratificazioni di arenaria lasciate dall’acqua che un tempo ricopriva tutto, e rocce tondeggianti dall’altro erose dal vento e formatesi con eruzioni vulcaniche .

Dopo poco lasciamo la strada asfaltata e iniziamo ad inoltrarci nel deserto. Il paesaggio piano piano cambia ancora e le rocce si colorano di rosa mentre cominciano ad apparire anche le dune.

Avanziamo tra scenari sempre più spettacolari: alte dune incuneate tra rocce dalle forme incredibili, qualche acacia solitaria incredibilmente verde, ma anche tantissime pitture e incisioni rupestri che ci ricordano che qui un tempo era savana ricca di vegetazione popolata da animali. Le giraffe, gli elefanti, i rinoceronti e le molte mucche che troviamo su tante molte delle rocce che incontriamo sono incredibilmente realistiche e ben fatte.

Le giornate trascorrono così tra la scoperta di scorci incantevoli, l’osservazione dei disegni lasciati a ricordarci il passato, i pranzi all’ombra di enormi rocce preparati con quello che si può dal cuoco, gli accampamenti in posti incredibili dove ci si rende conto di quanto siamo piccoli in mezzo a tutto questo, le notti in tenda sotto cieli mai visti così carichi di stelle .

Dio ha creato il deserto affinchè gli uomini potessero ritrovarvi la propria anima” proverbio Tuareg

Quando termina il giro non vorremmo lasciare questo posto magico anche se non ci laviamo da sei giorni e avremmo voglia di mangiare qualcosa di diverso, ma le immagini e la luce che abbiamo negli occhi la porteremo sempre con noi.

Durante questo viaggio  ho letto “ Gente in cammino” di Malika Mokeddemk  una scrittrice algerina che non conoscevo . Il libro racconta di una vecchia nomade Tuareg di nome Zohra, che si ferma  in un villaggio  del deserto algerino. Per continuare a muoversi ed evadere dalla vita che non le appartiene  Zohra ricorre alle sue doti di narratrice portando nella vita quotidiana tracce di fiaba e di magia, ricordando le tradizioni e i racconti della sua gente in cammino. Da quello stesso villaggio partirà la nipote della vecchia Zohra, Leyla, che, mentre la resistenza algerina lotta contro il colonialismo francese, conduce la sua battaglia personale per studiare, per viaggiare, per amare secondo la propria vocazione ed evadere dai confini del mondo patriarcale in cui è nata.

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