Il 25 Ottobre 2022 Giorgia Meloni, prima donna Presidente del Consiglio in Italia, rende il suo discorso alla Camera dei Deputati tra applausi e botte e risposte degni di una pièce teatrale.

Abbiamo seguito in molti la diretta, i più sono stati invece raggiunti da parti di discorso estrapolati qua e là, tagli ad hoc e meme fabbricati real time.
Basti pensare che i video su YouTube contenenti il discorso integrale del nuovo Presidente del Consiglio Giorgia Meloni raggiungono meno di 100mila visualizzazioni.
I siparietti, le risposte, i punti topici superano invece le 700mila.

Partire dalle visualizzazioni su una piattaforma di video online è una considerazione che torna utile se ammettiamo tutti una grande verità: quando discute e dibatte Giorgia Meloni, non ce n’è per nessuno.

Ammaliata dalla sue verve, dalle sue pause teatrali a favore di pubblico, dai suoi gesti, dal suo tono di voce, non ho potuto che fare il mio lavoro: analizzare il suo stile comunicativo verbale e non verbale.
Ed ecco perché alcuni punti del suo intervento in aula sono stati un chiaro manifesto politico.

Le donne senza cognome

“Tra i tanti pesi che sento gravare sulle mie spalle oggi, non può non esserci anche quello di essere la prima donna a capo del governo in questa Nazione. Quando mi soffermo sulla portata di questo fatto, mi ritrovo inevitabilmente a pensare alla responsabilità che ho di fronte alle tante donne che in questo momento affrontano difficoltà grandi e ingiuste per affermare il proprio talento o il diritto di vedere apprezzati i loro sacrifici quotidiani. Ma penso anche, con riverenza, a coloro che hanno costruito con le assi del proprio esempio la scala che oggi consente a me di salire e rompere il pesante tetto di cristallo posto sulle nostre teste. Donne che hanno osato, per impeto, per ragione, o per amore. Come Cristina, elegante organizzatrice di salotti e barricate. O come Rosalie, testarda al punto da partire con i Mille che fecero l’Italia. Come Alfonsina che pedalò forte contro il vento del pregiudizio. Come Maria o Grazia che con il loro esempio spalancarono i cancelli dell’istruzione alle bambine di tutto il Paese. E poi Tina, Nilde, Rita, Oriana, Ilaria, Mariagrazia, Fabiola, Marta, Elisabetta, Samantha, Chiara. Grazie! Grazie per aver dimostrato il valore delle donne italiane, come spero di riuscire a fare anche io”.

La battaglia per inserire il cognome delle donne è certamente l’espressione del femminismo più colto e rivoluzionario di questo momento storico. Citavamo, in un articolo di qualche tempo fa, la battaglia che “Una donna a caso” e Michela Murgia stanno portando avanti proprio per riconoscere le donne attraverso il loro cognome e il loro titolo (qui l’articolo dei nomi delle donne in quanto vittime di violenza). Usare solo il nome proprio di una donna ai vertici significa infantilizzarla, farla passare per la tua amica, per tua cugina, per la vicina che ce l’ha fatta. Immaginiamo se Giorgia Meloni avesse citato Giuseppe (Verdi), Gabriele (D’Annunzio), Sandro (Pertini), Diego (Armando Maradona): quanto suona strano? Non trovate?
E il nuovo Presidente del Consiglio Giorgia Meloni lo sa bene e gioca a carte scoperte: cognomi, asterischi, lettere rovesciate non riguardano il percorso che intende tracciare.

IL Presidente

La neo eletta Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha scelto di essere chiamata “il presidente” e non “la presidente” e ovviamente la questione non riguarda solo la grammatica e la concordanza dell’articolo. L’Accademia della Crusca si è così pronunciata in tal caso:

“La lingua italiana consente una soluzione semplice […]. Bastano infatti l’articolo maschile e femminile e l’eventuale accordo a definire il genere e la funzione”.

Giorgia Meloni non ha dubbi e ha scelto per sé di farsi chiamare il presidente, contravvenendo a regole grammaticali in nome del potere che il genere maschile ingloba. Ed è una questione di potere perché non risulta strano o cacofonico utilizzare termini come operaia, contadina o maestra; d’altra parte risulta assurdo o “una battaglia inutile” utilizzare termini come avvocata, senatrice, ministra o la presidente.

“Mi guardi, onorevole Serracchiani”

Foto da La Stampa

Nella replica alla Camera prima del voto di fiducia, Giorgia Meloni poi compie un colpo da maestro, un momento da inserire nei manuali di comunicazione politica ma anche in quelli di arte teatrale, un manifesto politico di comunicazione verbale e non verbale.
In risposta all’Onorevole Debora Serracchiani, Partito Democratico che dichiara: “Temiamo che il governo Meloni voglia donne un passo indietro e dedite a famiglia”, il nuovo Presidente del Consiglio Giorgia Meloni si alza ostentando tranquillità, fa una pausa davanti al microfono, sguardo basso: “Mi guardi, Onorevole Serracchiani: le sembra che io stia un passo dietro agli uomini?”.
È calma, si guarda intorno come a dire: Ma vi pare?!, empatizza con il suo pubblico e rispetta i tempi comici. Scatta l’applauso sia per l’evidente ovvietà della risposta che per l’interpretazione.

Dà del tu e ne sbaglia il nome

Durante la replica che ha preceduto le dichiarazioni di voto, la neo premier Giorgia Meloni si rivolge al parlamentare Soumahoro, dandogli del tu. Un intervento già nato con il piede sbagliato, dal momento che Meloni, in un primo momento, pronuncia male il suo cognome.

Durante lo schiavismo e la colonizzazione i neri non avevano diritto al Lei”

Aboubakar Soumahoro

Paternalismo, classismo e infantilizzazione dell’avversario: temi che ricorrono anche nella replica al collega di fazione opposta liquidando questi due “piccoli” errori con una difficoltà nella pronuncia o una sbadataggine (“Ah, era per il sai?!”).

È chiaro che il nostro interlocutore non è riconosciuto come credibile, come alla pari e non si usano con lui quindi le normali attenzioni destinate invece ad un interlocutore considerato degno di rispetto.

Ma Giorgia Meloni è ipnotica, credibile, usa gli espedienti retorici sapientemente, empatizza con i suoi interlocutori, si muove come un animale da palcoscenico, usa il romanaccio in aula quando dopo tanti applausi si rivolge al collega Matteo Salvini “Aò qua faamo e tre”.

Insomma, parla alle masse come solo lei sa fare.

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