Una decina di anni fa ho visitato un paese dell’America Latina forse tra i meno toccati dal turismo di massa, l’Ecuador, un paese con una varietà di paesaggi incredibile tra la costa, gli altopiani andini e la foresta amazzonica. Un paese dove sono ancora molto presenti la cultura e le tradizioni indigene.
Quito, la capitale
Arriviamo a Quito in una mattina di fine luglio e attraversiamo la città per raggiungere l’albergo dando una prima occhiata al reticolo di strade ripide e piazze coloniali. La città si trova a 2800 m di altitudine adagiata sulla montagna e pertanto le sue strade ne percorrono le valli con un alternarsi di salite e discese. Raggiungiamo l’albergo che si trova in un’antica casa coloniale disposta su più pian ed è molto carino, ma fare le scale per raggiungere l’ultimo piano a 2800 metri di altitudine ci fa capire che dovremo prenderla con calma.
La parte centrale della capitale è prevalentemente in stile coloniale spagnolo, quasi completamente intatto, e ospita palazzi e siti religiosi risalenti al XVI-XVII secolo. Il cuore della città è Plaza Grande e da qui partiamo per visitare le numerose chiese barocche dove gli spagnoli non hanno lesinato in oro e decorazioni sontuose. Quasi in ogni angolo o piazza c’è un monastero o una chiesa.
Non lontano dalla città raggiungiamo la “Mitad del Mundo“, il luogo situato sull’equatore, il parallelo che divide il pianeta in due emisferi. Questa linea fu determinata già dagli Inca, senza utilizzare nessuno strumento di misurazione e centinaia di anni più tardi venne confermata dai francesi. Si prova una strana sensazione stando quasi a cavallo sul mappamondo, con un piede in un emisfero e uno nell’altro!
Il mercato di Octavalo
A circa due ore di macchina da Quito si trova Octavalo, dichiarata “ Capitale interculturale dell’Ecuador”, la cittadina è circondata dalle cime di tre vulcani tutti di altezze superiori ai 4000 metri. La sua popolazione è composta prevalentemente da indigeni kichwa (https://www.jpic-jp.org/a/ecuador-gli-indigeni-kichwa-conservano-la-foresta-pluviale), famosi per la loro abilità nel settore tessile e commerciale e infatti ospita uno dei più grandi mercati del sudamerica.
Come tutti i mercati di questa parte del mondo è coloratissimo e ricco di bancarelle soprattutto di tessuti, ma anche cappelli, maglioni, e altri prodotti artigianali. Gli indigeni che vendono sono vestiti con gli abiti tradizionali: le donne con lunghe gonne nere, camicie bianche ricamate e particolari copricapi; gli uomini hanno pantaloni bianchi al polpaccio, espadrillas ai piedi, cappelli a larghe falde e lunghe trecce nere.
Questo mercato è la riprova di una tradizione tessile che dura da centinaia di anni e risale addirittura al periodo pre-incaico, quando i filati venivano scambiati con i popoli dell’Amazzonia con il cotone e l’achiote (https://www.tuttogreen.it/annatto-semi-achiote-spezia-colorante/) un colorante rosso. Poi arrivarono gli Inca che sfruttarono gli Otavaleños fino all’avvento degli spagnoli, che praticamente schiavizzarono gli abitanti per produrre tessuti da vendere in Europa.
Ma non sono solo tessuti, c’è anche una grande parte di mercato alimentare con enormi bancarelle di frutta, verdura, legumi e carni, ma anche banchetti dove è possibile mangiare.
La laguna di Quilotoa
Imboccata la Panamericana ci dirigiamo verso la Sierra Centrale e in particolare verso la laguna di Quilotoa. La strada si inerpica tra vallate e montagne, tra campi di avena e frumento incredibili visto che siamo a 3800 metri di altezza. Bambini pascolano gruppi di pecore mentre le donne lavorano in campi così ripidi da chiedersi come facciano a reggersi in piedi.
Saliamo fino a raggiungere la laguna, un lago che si è formato solo 800 anni fa, dopo un’eruzione che provocò il collasso del vulcano. Lo scenario è splendido sia per il colore del lago che per le catene di montagne che lo circondano. Camminiamo un po’ sul bordo del cratere e assaporiamo la pace e il silenzio di questo luogo fuori dal mondo. L’aria è frizzante e la zuppa di patate calda che ci mangiamo in una specie di rifugio non ci sta per niente male!
Il mercato di Saquisili
Da Latacunga dove abbiamo dormito raggiungiamo Saquisili dove ogni giovedì si tiene un enorme mercato locale. Arrivati nel paese ci rechiamo nella zona dove si vendono gli animali. In un enorme piazzale i contadini dell’altopiano vendono e comprano maiali, mucche, pecore, lama e cavalli. Ci aggiriamo tra muggiti e grugniti mentre le donne, vestite con abiti coloratissimi e con al collo bambini con le gote bruciate dal sole, contrattano e mostrano le loro bestie. In un angolo si vendono anche i porcellini d’india, che qui sono considerati una prelibatezza.
Poi passiamo al resto del mercato che ricopre tutto il paese. La gente è moltissima e si vende di tutto; c’è molta verdura e frutta, abbigliamento, poco artigianato perché non è un mercato per turisti, ferramenta, carne e pesce. In ogni piazza c’è anche una parte destinata alla ristorazione dove cuoche rimestano enormi pentoloni, friggono di tutto e dove sui banchi campeggiano enormi teste di maiale. I contadini con i volti segnati dal sole e dal freddo, vestiti con gli abiti tipici, ingobbiti dai pesi che portano sulla schiena, vendono ciò che producono e acquistano quello che serve loro per la vita quotidiana. Poi ripartono su camioncini carichi di gente, di bestie e di acquisti.
Banos
Ripartiamo e dopo un’ora circa raggiungiamo Baños, conosciuta come “porta dell’Amazzonia“, poiché è l’ultima grande città situata sulle montagne prima di raggiungere la giungla. Si trova a circa 1800 m alle pendici del vulcano Tungurahua, ancora attivo come si può vedere dalle frequenti e potenti esplosioni e getti di lava che ogni tanto si vedono. Gli abitanti non ci fanno più caso, ma per noi la cosa è un po’ inquietante.
E’ una cittadina turistica per le sue sorgenti e piscine termali che funzionano con il calore proveniente direttamente dal vulcano. Facciamo un primo giro nella valle appena fuori Banos, dove scorre il Rio Pastazas e dove si trovano numerose cascate. Il paesaggio è splendido e ci da un assaggio della selva: pareti scoscese verdeggianti scendono a picco sul torrente. Ogni tanto una cascata riversa potenti getti d’acqua. Una di queste si raggiunge con una teleferica che attraversa il canon dandoci una visione spettacolare dall’alto. Arriviamo fino alla cascata del Diablo con un percorso a piedi che ci porta lungo una scalinata sulla parete di roccia. La natura qui è veramente prorompente !!
Nella foresta Amazzonica
Abbiamo previsto di passare qualche giorno nella foresta Amazzonica ospiti di un villaggio, perciò lasciamo la maggior parte dei bagagli a Banos e raggiungiamo con un’ora di macchina Puyo, ultimo avamposto prima della foresta. Qui ci aspetta la persona che ci ospiterà, Cecilia, che ci fornisce di stivali e ci aiuta ad acquistare un po’ di generi alimentari per i prossimi giorni. Saliti su un camioncino percorriamo un altro tratto di strada sterrata e infine proseguiamo a piedi addentrandoci nella selva. Il terreno è fangoso e scivoloso, ma con un’oretta di cammino arriviamo al villaggio di capanne. La situazione si presenta subito molto spartana.
Ci ospita una famiglia di indios e alloggeremo in una delle loro capanne situata su un’altura sotto cui scorre il Rio Puyo. Poco lontano c’è il resto del villaggio, un gruppo di palafitte poste a cerchio attorno ad una radura, dove vivono tutti i parenti di Cecilia che ci accolgono calorosamente. La sera ceniamo a lume di candela ( naturalmente non c’è corrente e neppure acqua corrente) con un’ottima zuppa di verdure chiacchierando con la nostra ospite. Poi a letto sperando che non entrino molti insetti visto che la stanza è praticamente aperta ai lati.
Il giorno dopo è previsto un giro nella foresta anche se il cielo è grigio e dopo poco inizia a piovere. Siamo accompagnati dal figlio di Cecilia lungo un sentiero abbastanza comodo, ma dopo un po’ dobbiamo fermarci al riparo di alcune capanne perché piove fortissimo. Poi ripartiamo e ci addentriamo nella selva aiutati dal ragazzo che ci apre dei varchi con il machete. La pioggia ha reso il percorso ancora più fangoso e scivoloso, ma raggiungiamo una cascata immersa in una vegetazione splendida che rende l’acqua di un verde intenso. Qui la natura è rigogliosissima e avvolgente tanto da farci sentire quasi degli intrusi. Da qui raggiungiamo il fiume mentre il sole fa capolino e saliamo su una canoa per tornare al villaggio. La canoa è bassissima e non sembra molto stabile, ma il peggio arriva alle prime rapide che incontriamo! Ha piovuto molto e il fiume si è alzato e agitato. Panico puro! Ci vuole più di mezz’ora per toccare terra, ma a me sembra un’eternità !! Raggiunta la capanna ci cambiamo e asciughiamo e poi ci riposiamo polleggiati sull’altura che domina l’immensa foresta e il fiume sotto di noi godendo di questo panorama splendido!.
Risalire quel fiume era come compiere un viaggio indietro nel tempo, ai primordi del mondo, quando la vegetazione spadroneggiava sulla terra e i grandi alberi erano sovrani. Un corso d’acqua vuoto, un silenzio assoluto, una foresta impenetrabile
(Jospeh Conrad)
Il giorno dopo ci aspetta un altro giro nella selva per raggiungere un punto panoramico. Partiamo con la nostra guida armata di machete e dopo una prima camminata su un sentiero abbastanza comodo, ci inerpichiamo su un’altura con molta fatica fino ad arrivare al mirador da dove si dominano chilometri di jungla attraversati dal Rio Puyo. Attorno a noi alcune scimmie ci osservano dagli alberi e un bradipo sale al rallentatore su un tronco.Si potrebbe stare a guardarlo per ore. E’ un posto incredibile! Poi torniamo verso la capanna e quando arriviamo ci sono i ragazzi del villaggio che fanno il bagno nel fiume a cui ci uniamo volentieri sperando che sia vero che qui non ci sono coccodrilli!!
Dopo il pranzo a base di zuppa e carne con riso prendiamo la via del rientro alla civiltà. Un po’ mi dispiace, mi stavo abituando all’atmosfera rilassata e al contatto con questa natura incontaminata, ma l’idea di una doccia e di un letto un po’ più comodo non mi dispiace.
Riobamba e la Nariz del Diable
Dopo colazione partiamo da Banos alla volta di Riobamba. La strada sale tra montagne altissime, villaggi di indios e coltivazioni. Il paesaggio è incredibile e si completa quando dalle nuvole appare in tutta la sua imponenza il vulcano Chimborazo, cima più alta dell’Ecuador con i suoi 6300 m.
La strada gli gira attorno e la sua sagoma imponente ci accompagna per buona parte del tragitto tra pascoli brulli su cui pascolano bianchi lama. L’aria è fresca e il respiro si fa affannoso mano a mano che avanziamo. Poi la strada si inerpica fino a raggiungere i 4000 m. con la vegetazione che piano piano scompare e lascia il posto allo spoglio pascolo rado e brullo su cui pascolano branchi di vigogne selvatiche.
Da qui la strada comincia a scendere e il panorama cambia tra coltivazioni e villaggi fino a raggiungere Riobamba , un paesone non particolarmente interessante e sicuramente più povero delle cittadine viste prima, ma la tappa ci serve per andare alla Nariz del Diable, una cima che si raggiunge con un trenino particolare .
Partiamo all’alba per raggiungere Aleusi poco lontano e prendere un trenino fatto di un’unica carrozza piuttosto datata con tendine alle finestre e posti sia dentro che sul tetto. Il treno parte strombazzando e percorre una valle molto verde parallelamente al torrente. Percorriamo tratti restando sul fondo della valle ed altri lungo il pendio godendo di un paesaggio incredibile fino a raggiungere la montagna detta appunto la Nariz del Diable e poi ritornare indietro. A metà percorso il treno si ferma e il guidatore ordina, senza ammettere rifiuti, di scambiarci i posti: chi sedeva dentro va sul tetto e viceversa. Così mi ritrovo sul tetto da cui la vista è naturalmente migliore, ma si balla parecchio.
Incapinca e Cuenca
Rientriamo in paese con una gran strombazzare e recuperata la macchina ripartiamo in direzione di Cuenca. Il tragitto si snoda tra vallate, villaggi e campi coltivati, poi improvvisamente cambia e si riempie di casette nuove dai colori vivaci costruite con i soldi che i tanti emigrati mandano a casa. Naturalmente ognuno deve dimostrare il suo benessere e così sorgono ville sempre più grandi e con stili non proprio del luogo.
Verso mezzogiorno ci fermiamo a Incapinca, il sito archeologico più interessante dell’Ecuador. Ci sono mura costruite con il classico stile degli Inca e un tempio che si pensa fosse dedicato al sole. Tra le rovine, che sono sparse in una zona molto vasta, si aggirano lama dal pelo marrone.
Dopo aver mangiato un’ottima zuppa in quello che definire ristorantino è una parola grossa, riprendiamo la strada che nel pomeriggio ci porta a Cuenca, una bella città ricca di angoli splendidi dove convivono modernità e tradizione. Anche qui molte chiese, belle piazze e edifici coloniali; c’è una bella zona sulla riva del fiume dove c’è una delle più antiche fabbriche per la produzione dei panama, i famosi cappelli di paglia originari di questa zona chiamati così non perché si inventarono a Panama, ma perché li indossavano gli operai che lavoravano alla costruzione del canale di Panama. Anche qui c’è un bel mercato alimentare regno degli indios che vendono i prodotti
dell’altopiano.
Guayaquil e la costa
Usciti da Cuenca imbocchiamo una strada che ci porta verso la montagna in una zona ricca di pini, torrenti e case di legno. Un’altra faccia dell’Ecuador che non finisce di stupirci. Ci sono molti allevamenti di trote e infatti a pranzo ne gustiamo una preceduta naturalmente da un’ottima zuppa di patate. La strada sale fino ai 4000 m. tra pini e vallate in cui sono incastonati laghi incantevoli. L’aria è fredda e c’è un vento gelido, ma il paesaggio merita senz’altro. Poi iniziamo la discesa verso la costa su una strada che alterna momenti di nebbia a schiarite di sole fino ad arrivare nel tardo pomeriggio a Guayaquil che ci si presenta subito come una città moderna, trafficata e un po’ caotica.
La attraversano due grandi fiumi che la vivacizzano e il lungofiume che corre lungo uno dei due è il punto di ritrovo dei cittadini: aree giochi si alternano a giardini e a piazze, la gente si ritrova qui per passeggiare, fare jogging. Sembra una città europea più che sudamericana. Camminando arriviamo al quartiere della Pina uno dei più vecchi quartieri della città, prima quartiere di pescatori ora interamente ristrutturato e sede di gallerie d’arte e locali.
Da qui il nostro viaggio prosegue con la visita alle Isole Galapagos e la costa dell’Ecuador, ma questo ve lo racconterò nel prossimo articolo dove vi svelerò un’altra faccia dell’Ecuador che si è dimostrato un paese pieno di sorprese e di paesaggi inaspettati, molto accogliente .
Durante il viaggio ho riletto Il vecchio che leggeva romanzi d’amore di Luis Sepúlveda, ambientato ai margini della foresta amazzonica ecuadoriana dove il vecchio Antonio José Bolívar Proaño ha con sé i ricordi di un’esperienza negativa di colono bianco, la fotografia di una donna sbiadita dal tempo e alcuni romanzi d’amore che legge e rilegge da solo. Ma dentro di sè è custodito un tesoro inesauribile che gli viene dall’aver vissuto dentro la grande foresta.
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