La rappresentazione della disabilità nei media, quali film, telefilm e tv, negli ultimi anni è di sicuro migliorata.

Anche se resta ancora marginale e nonostante quel qualcosa in più si tenti di fare, pur rimanendo sempre troppo poco, permane ancora nell’immaginario collettivo una visione distorta di quello che significa inserire un personaggio con una qualche disabilità in un film o telefilm.

Abilismo e inspiration porn

La narrazione dominante resta spesso “abilista” (di cosa sia l’abilismo e come si esplica come comportamento, ne ho parlato qui), ciò significa che la disabilità, come condizione, così intesa e rappresentata, è a beneficio di chi disabile non è, invece di identificare e includere chi disabile lo è.

Spesso e volentieri il personaggio disabile è inserito nella storia solo per essere di ispirazione ai protagonisti non disabili (in questo caso si parla di inspiration porn), così facendo, le persone con disabilità vengono usate come veicolo motivazionale per le persone non disabili, sulla semplice base delle loro circostanze di vita, qualsiasi cosa renda una persona disabile finisce per essere solo un “riscatto” per le persone così dette “normotipiche” che sono intorno a quella persona.

Oltre a questo fenomeno di rappresentazione ispirazionale della disabilità, dall’altro lato c’è anche la questione dell’eccessiva drammatizzazione della condizione di disabilità per instillare pietà, compassione e empatia, oltre che a far pensare che vivere con una disabilità sia una “tragedia”.

Spesso nei telefilm o film del recente passato, ma anche odierni, ad un occhio attento, e fatte queste premesse, non è difficile identificare questi atteggiamenti nei personaggi e nelle trame.

Sofia Righetti nota attivista e donna disabile ha scritto un post molto importante anche su come sono percepiti gli ausili legati alla disabilità, che si intitola “Pornografia del dolore. Film e carrozzine” (lo trovate qui). Tutto si rifà sempre allo stesso concetto:

La disabilità è sofferenza, tragedia e sfortuna, ma sappiamo bene che non è così. Tante persone con disabilità vivono pienamente e felicemente le loro vite. Ruote, stampelle e protesi incluse.

Un altro punto su cui vorrei riflettere e che aiuta a capire gli esempi positivi che porterò è che quasi sempre il personaggio disabile nei media e la sua condizione di disabilità vengono interpretati da attori/attrici che disabili non sono. Sembra un dato da nulla, ma invece conta, perché anche questa è una discriminazione importante. Per fortuna negli ultimi anni si comincia a cambiare rotta e si apre qualche spiraglio positivo e ci sono numerosi film e telefilm che raccontano la disabilità e meritano una giusta attenzione e diffusione.

Nello specifico, vorrei parlarvi di tre diversi esempi di serie televisive che hanno personaggi disabili o storie legate alla disabilità, che sono particolarmente riuscite.

Mom

Inizio dalla prima, la serie televisiva “Mom”, che anche se non dovrebbe stare in questo elenco perché l’attore che interpreta  “Adam Janikowski”, William Fichtner non è realmente disabile e non usa sedia a rotelle nella vita reale.

Però la cito lo stesso, perché a parer mio William ha fatto un buon lavoro con il personaggio di Adam, tanto che pure non ho avuto la sensazione di qualcosa di costruito. Nella visione si è davvero convinto che l’attore sia davvero disabile e non per finzione.

Inoltre ho molto apprezzato i dialoghi tra i vari personaggi e il modo molto divertente, sarcastico e intelligente di trattare la disabilità di Adam (acquisita dopo un incidente).

Questa serie è davvero una chicca nel suo genere, perché tratta tante tematiche delicate, tra cui la dipendenza da alcolici e stupefacenti, i rapporti famigliari, le difficoltà di ricostruirsi una vita, una rete sociale solida dopo aver vissuto anni di dipendenze e delinquenza e ovviamente anche la storia d’amore tra Bonnie, (interpretata dalla bravissima Alison Janney) una delle mamme protagoniste, nonché ex alcolista e Adam, un ex stunt-man che decide di gestire un bar.

Nel vedere il relazionarsi di Bonnie e Adam ho molto apprezzato il fatto che ne emergesse una relazione tipica, fatta di amore, passione, litigio e ripicche, ma anche tante questioni legate ad alcune cose imbarazzanti legate alla disabilità di Adam, e che confondono un po’ Bonnie, all’inizio, ma poi tutto si semplifica grazie al dialogo schietto. E si assiste sullo schermo ad una storia amorosa divertente, passionale ed esilarante pure nei litigi dei due (spoiler: alla fine si sposano).

In poche parole, anche se c’è il problema dell’attore non disabile e del possibile abilismo sotteso a questa scelta, (purtroppo il 95% di ruoli disabili nella tv e nei film sono interpretati ancora da attori abili, nonostante ci siano attori disabili molto capaci), ho amato il modo di recitare di William Fichtner.

La seconda serie di cui vi vorrei parlare è “Prisma” che trovate su Amazon Prime.

Prisma

Una serie giovane, frizzante, rivolta ad un pubblico giovane e tutta Italiana, del genere “teen drama” (ovvero drammatico adolescenziale), che è stata creata e diretta da Ludovico Bessegato. Tratta delle storie di due gemelli molto diversi fra loro. Uno estroverso, l’altro timido e riservato, innamorato di Carola, una ragazza disabile che, finalmente, è il caso di dirlo, è rappresentata senza un velo di pietismo e rassegnazione, anzi. Una ragazza giovane alle prese con problemi come tutti gli altri giovani. Con un certo modo di fare anche determinato e un po’ strafottente. 

L’ho amata insomma. E ricordiamo che Sofia Righetti ha fatto da consulente per creare questo personaggio, questa ragazza disabile forte e determinata, che non si accontenta, che non vive di attese, ma di prende ciò che vuole. (Il post dove Sofia ne parla è qui). Nessuna incertezza, questa serie è Perfetta nel trattare una molteplicità di temi sensibili – dai diversamente abili all’universo LGBTQ+.

L’ultima serie di cui vi vorrei raccontare mi riguarda molto da vicino, perché tratta la mia stessa disabilità.

Special

In “Special” che trovate su Netflix, siamo alle prese con Ryan giovane omosessuale affetto da paralisi cerebrale infantile, che, a quasi 30 anni, dopo aver vissuto un rapporto intenso di co-dipendenza tra lui e la madre, il padre li ha abbandonati quando Ryan era piccolo, decide di riscrivere la propria identità e inseguire la vita che ha sempre voluto realizzare.

Già il titolo gioca sulla parola “speciale” che spesso viene affibbiata alle persone disabili in termini pietistici o abilistici, in più c’è una doppia discriminazione: sulla disabilità e sull’omosessualità.

L’attore Ryan O’Connell ha lui stesso una paralisi cerebrale e ha dichiarato in più interviste che c’è tanto di biografico in cui che si vede sullo schermo e che capita a Ryan.

Per chi, come me, ha una paralisi celebrale infantile vederla recitata sullo schermo da un certo sollievo ed emozione. Da un lato fa dire: finalmente!, dall’altro per certe cose confonde, perché davvero è strano vedere per la prima volta alcune cose di sé su schermo.

Siamo tanto abituati a vergognarci dei nostri corpi e goffaggini, ma vedere Ryan sullo schermo risolleva e ci fa sentire finalmente adeguati, come tutti. La serie “Special” però non mostra tutto come semplice e lineare, ma è comunque un percorso di auto accettazione ed emancipazione lungo e faticoso, e non esente da dolorose cadute fisiche ed emotive.

A parere mio si poteva forse raccontare di più e meglio, due stagioni sole non bastano e lasciano un po’ l’amaro in bocca, ma devo dire che questa serie merita davvero, per come vengono trattate le situazioni, senza edulcorare e anche con un certo cinismo e humor contagioso.

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