Una piccola grande storia di famiglia

Siamo appassionate di storie di famiglie ordinarie e di donne straordinarie.
E abbiamo trovato entrambe le cose nelle storie di Giada e Serena, mamme di Thomas, Leo e Micol.

Due mamme e tre figli, dal nome del loro account social con il quale raccontano di quanto le famiglie in cui c’è tanto amore si assomiglino un po’ tutte. Con le Gocciole a colazione, la pizza della domenica sera, le gite fuori porta e le grandi sfide che ogni genitore si trova ad affrontare. Presto o tardi.

Innanzitutto grazie perché in un mondo fatto di mamme che preparano bastoncini di carote bio, biscotti vegani senza uova, latte, burro e con la farina di bulgur raccolto dai mandriani indiani, sulla vostra tavola vediamo le Gocciole, le piadine, le pizzette e i tortellini: grazie davvero di cuore per “normalizzare” i pasti in famiglia. Direi che la prima forma di attivismo è questa qui!

G.: Proprio ieri sera mi è arrivato il classico commento che bisogna variare, che tutti quegli alimenti zuccherati non vanno bene…Ho pensato di fare un reel “Instagram vs. Reality” dove sulla tavola metto tutti cibi sani (Instagram) e quando abbiamo finito di registrare tiro fuori le Gocciole (Reality) [ridiamo tutte, ndr]

S.: Ma poi noi variamo, Thomas prende il tè, Leonardo prende il latte, Micol prende il succo!

Giada e Serena: ex postina (Giada), infermiera (Serena), mamme di tre, attiviste, influencer. Qual è il ruolo che vi sentite meglio addosso? E perchè?

G.: Non sono più postina da un paio di anni ma è un ruolo che mi piace moltissimo! Essere postina mi permetteva di assecondare i miei due spiriti: uno libero e l’altro che ha bisogno di contenimento, restando libero all’interno delle sue regole. Fare la postina ha le sue regole ma al tempo stesso gira solitaria, si organizza il suo tempo…Era perfetto per me!

S.: Fare attivismo o le influencer invece è un ruolo che è venuto da sè perchè dopo aver condiviso le nostre storie, non ci siamo mai tirate indietro davanti alle tante richieste di persone come noi che si trovavano davanti alle tante sfide che abbiamo affrontato noi per prime. E poi…Se le persone vedono, capiscono.

G.: I Martedì Tips [una rubrica sul loro canale Instagram] sono nati proprio così, quando ho vissuto determinate esperienze, ho provato a spiegare come le ho affrontate io e cosa ho fatto per superarle. Adesso quella rubrica si sta basando su quello che emerge dalla community e su quello che le persone ci chiedono direttamente.

Cosa significa fare attivismo in questo momento in Italia a favore dei diritti LBGT+?

G.: Io lo chiamerei più “normalismo” che attivismo! Ci sono tantissime persone che non sono mai entrate in contatto con alcune tematiche e ignorano completamente certe dinamiche. Per rispondere alla tua domanda, partiamo da un dato nazionale: il 2022 è stato il primo anno in positivo in un sondaggio in cui più del 50% [il 64%, ndr] si è dichiarata favorevole alle adozioni per le coppie omosessuali [qui il sondaggio, ndr]. Forse tutta l’informazione che è passata attraverso i social ha dato i suoi frutti!

S.: Ad esempio, quando eravamo un profilo piccolo dovevamo difenderci e moderare rispondendo ad ogni commento. Adesso che il profilo è cresciuto molto, abbiamo una schiera di follower che rispondono a tono, spiegando o prendendo le nostre difese.

G.: Chiudo questa domanda aggiungendo che sempre più spesso arrivano persone per curiosità, per capire, perché ci dicono: “Ero contro ma adesso sto capendo tante cose”…

Com’è stato il vostro coming out con le vostre famiglie? E la decisione di avere dei figli?

S.: Quando ho conosciuto Giada avevo già 27 anni e sapevo già di volere una famiglia. Tanto che quando mi sono dichiarata con la mia famiglia la prima cosa che mi ha detto mia madre è stata quanto fosse dispiaciuta del fatto che non potessi costruire la famiglia che avevo sempre sognato, sin da bambina. Con Giada sono stata chiara sin da subito!

G.: Al terzo appuntamento tipo?!?

S.: Ma no, dai! Lei aveva 23 anni, le ho detto regolati insomma. Ma era un “regolati” legato al fatto che le cose con lei stavano prendendo una piega tale che se lei non avesse avuto figli io avrei fatto fatica a lasciarla andare…La decisione è stata quindi tutta mia, lei si è adeguata anche velocemente per fortuna!

E la nascita della vostra famiglia? Ci raccontate come sono nati Leo, Thomas e Micol?

G.: Abbiamo trovato una clinica in Spagna che praticava il metodo ROPA [su questo articolo un approfondimento] e siamo state una delle prime coppie italiane ad accedere a questa tecnica.

Che cos’è il metodo ROPA?

G.: Dopo aver prelevato i miei ovuli a seguito di una cura ormonale per stimolarne la produzione, li fecondano in vitro dopo l’espianto eco-guidato (senza l’intervento chirurgico, con un sondino) con un seme di donatore anonimo. Una volta fecondati questi ovuli, dopo cinque giorni, vengono trasferiti a chi porta avanti la gravidanza. Nel nostro caso, Serena o comunque all’altra donna. All’epoca gli embrioni si fecondavano a coppie e per la legge spagnola si potevano trasferire da un minimo di uno ad un massimo di tre per evitare gravidanze multiple e noi ne abbiamo sempre trasferiti due, eticamente ci sembrava la scelta migliore.

S.: Il primo tentativo non è andato, al secondo sono arrivati Leo e Thomas…

E Micol?

G.: Micol invece “l’ho fatta io” [ride]. È stata pensata e aspettata, è arrivata quando i gemelli avevano già sei anni. È stato il mio corpo a dirmi che era pronto: ho sognato di essere incinta, ho sentito chiaramente i movimenti nel pancione e il solletichino di inizio gravidanza. Questa sensazione mi ha accompagnata per diversi giorni, è stato meraviglioso. Insomma, ero pronta.

S.: Così ci siamo chieste: “E ora cosa facciamo?”. Abbiamo contattato la dottoressa che ci ha seguite per Leo e Thomas, era ancora disponibile il seme dello stesso donatore anche se in quantità minori. Per correre meno rischi sulla possibilità di impianto, abbiamo deciso di fare l’inseminazione con gli ovuli di Giada così da avere la certezza che Thomas, Leo e Micol fossero fratelli al 100%, condividendo lo stesso patrimonio genetico.

G.: C’erano poi altre due questioni: quella economica e quella etica. Ripetere la ROPA avrebbe significato non solo un costo molto diverso ma anche avere una schiera di embrioni congelati dai quali scegliere. E come scegliere? No, meglio quindi tentare la fortuna con l’inseminazione secca.

Le nostre avvocate stanno preparando un articolo in uscita a breve su Extra Diritti. Voi siete toccate dalla possibilità che i vostri figli non vengano riconosciuti dallo stop ai Sindaci da parte del Ministero dell’Interno?

G.: Non è semplice spiegare questa situazione. A seguito della legge sulle unioni civili per le persone dello stesso sesso, è stata stralciata la legge sulla stepchild adoption, lasciando quindi la libertà decisionale ai Sindaci e ai giudici. Questo significa che un diritto civile nello stesso paese è garantito solo dalla fortuna che hai di vivere nel luogo giusto.

S.: Per Leo e Thomas ad esempio non abbiamo potuto fare la doppia registrazione mentre in città come Milano o Bologna la trascrizione delle due mamme o dei due papà era già realtà.

G.: Dopo aver richiesto in Comune la trascrizione e aver ricevuto un formale diniego, abbiamo potuto impugnare questo diniego e far ricorso in Tribunale dove il Giudice e il Procuratore Capo hanno riconosciuto il coinvolgimento di Giada perché donatrice degli ovuli grazie al metodo ROPA. Hanno riconosciuto quindi il legame biologico.

Quindi Giada è riconosciuta mamma al 100% di Leo e Thomas. E Serena per Micol?

G.: Abbiamo dato per scontato che il Comune trascrivesse entrambe come mamme poiché essendo sorella al 100% ci sembrava naturale.

S.: E invece no. Dovevamo far tutto da capo.

G.: E poi è cambiato il governo e non è più il momento di fare determinate richieste. Abbiamo quindi pensato di procedere all’adozione per casi particolari, con tutti i suoi i limiti.

Ma tutto questo non limita noi, mamme o papà. Noi siamo genitori lo stesso. Tutto questo limita i diritti dei bambini e la loro tutela.

È stato difficile essere adolescenti omossessuali in Italia?

G.: Per noi, adolescenti omosessuali 15-20 anni fa, ha significato vivere di nascosto la nostra sessualità…

S.: O conoscevi qualcuno che era come te o non avevi nessun aggancio con quel mondo. Quelle poche cose che c’erano erano chiuse.

G.: Però abbiamo vissuto quel periodo in maniera diversa. Serena non aveva nessuno nella sua cerchia di amici e amiche omosessuali mentre io avevo delle compagne di calcio che mi hanno capita e indirizzata.

S.: Io non avendo nessuno con cui confrontarmi ho passato dei lunghi periodi a riflettere su cosa sentissi o su cosa provassi per quella o quell’altra ragazza. Con la più grande paura di deludere le aspettative dei mie genitori. Grazie ad alcune colleghe di lavoro sono riuscita ad entrare in posti molto chiusi, altro che privati. Posti che non sembravano nemmeno locali, posti sicuri dove potevamo essere chi eravamo senza paure, dove entravi solo se avevi una conoscenza all’interno e soprattutto dove all’esterno c’erano “pattuglie” che rendevano quel posto sicuro all’interno.

Qualche settimana fa una ragazza della mia famiglia si è finalmente decisa a parlare apertamente del suo orientamento sessuale con i propri genitori (adottivi). Cosa direste alle ragazze che stanno vivendo un conflitto in famiglia?

S.: Credo che l’impatto emotivo sia molto importante. Capire che stai dicendo alla tua famiglia che per essere pienamente felice hai bisogno di vivere una vita diversa da quella che forse si aspettavano per te è fondamentale. Bisogna concentrarsi sul concetto di felicità, di vivere una vita piena.

G.: Di solito, quando capita di dare un consiglio a ragazze o ragazzi molto giovani che sanno di avere una famiglia che potrebbe non accettarle, che potrebbe buttarle fuori di casa, consigliamo loro di trovare qualcuno con cui sai di poter parlare, che sia il tuo porto sicuro. Aiutata o aiutato da questa persona, quando ti sentirai pronta a farlo, glielo dirai. Ma intanto avrai condiviso il tuo peso e le tue paure con una persona della famiglia, alleggerendoti un po’ le spalle.

Nel frattempo tasta un po’ il terreno: commenta una notizia in tv, un articolo di giornale. Prova ad introdurre quell’argomento in famiglia e valuta.

S.: Fermo restando che tuo figlio avrà sempre un impatto diverso da uno sconosciuto in tv…

The Next Step: il prossimo passo sarà?

G.: Sto scrivendo un libro sulla nostra storia. Anche se ci raccontiamo tanto attraverso i social, attraverso interviste come queste, il libro conterrà molto di più. Incluso il nostro essere genitori…

In ExtraWonders siamo un po’ sognatrici…Un desiderio/sogno per il futuro?

S.: Il nostro sogno è continuare a fare quello che stiamo facendo adesso, riuscire a vivere di attivismo e divulgazione, per quell’unico commento che ci dice: “Sapete, non avrei mai immaginato, ero molto scettico, ho iniziato a seguirvi perché ero contro e invece mi rendo conto che la vostra famiglia è uguale a tutte le altre famiglie”

G.: Nonostante l’attuale Governo ce la stia mettendo tutta a riportarci a 70 anni fa, sono sicura che riusciremo come società a concludere il nostro cammino e trovare il più bel panorama che ognuno possa immaginare.

Tutte le immagini presenti sono di proprietà di Giada e Serena e tutti i diritti sono riservati.

Se volete seguire la famiglia di Giada e Serena, il loro canale Instagram è @duemammetrefigli.

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12 thoughts on “Giada e Serena: due mamme e tre figli”

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