Anita fissa un’ampolla di vetro, un classico recipiente per olio d’oliva. La fissa con disagio e terrore; l’impulso è quello di aprire il cassetto delle posate. Sta cercando di controllarsi, lotta contro se stessa; nel frattempo la calcolatrice mentale già somma gli ipotetici cucchiai. Quante calorie scorrono a fiumi, impetuose, nella sua testa. Poi, il sollievo: l’olio non serve. Per un attimo si era confusa, credeva di dover cucinare del semplice sugo di pomodoro. Ecco che di nuovo il terrore si fa strada dentro di lei: guanciale, serve la guancia di maiale: grasso animale. A quanto salgono adesso le calorie? E il pecorino? Altro ingrediente dall’alta percentuale lipidica. Tutto da sommare a circa 345, per soli cento grammi di pasta – ma saranno abbastanza? Perché quella volta che riesce ad introdurre qualcosa in bocca, il corpo ne chiede ancora e ancora e ancora; sembra non bastare mai. E non basta, finché la consapevolezza non arriva violenta, come il risveglio da un incubo – ma alla rovescia. Così finisce per correre in bagno, per liberarsi da quel peso, dal senso di colpa, per tornare al vuoto iniziale di cui sente la mancanza, perché ormai ha imparato a conviverci, le dà un falso e precario senso di conforto, che subito si sgretola, facendola sprofondare in una spirale di dolore lancinante. Vorrebbe vomitare fuori l’angoscia, ma apre di nuovo la bocca e non ne esce nemmeno il respiro, pure quello è rinchiuso nello strazio che la corrode dall’interno. 

Scuote la testa: stavolta non andrà così. Con determinazione, afferra il guanciale e lo affetta a listarelle, lo osserva sciogliersi in padella, a fuoco lento, fino a sfrigolare e friggere, colorandosi. Chiude gli occhi, si concentra sull’odore: quasi le dà il voltastomaco, pensando al valore energetico; poi tutto cambia e diventa il profumo di un ricordo: le prugne farcite con Roquefort e avvolte con la pancetta, sua madre, le cene gourmet a tema regionale, con abbinamento vino e piccolo dessert finale – “Adoro alzarmi da tavola con le labbra zuccherate.” 

Le sottili labbra della madre bisbigliano una nenia, scandendo di tanto in tanto le parole “Sei bravissima”, come se le sussurrassero all’orecchio della figlia. Passeggia fra gli alberi spogli del giardino che sta di fronte alla residenza sanitaria. Il vento muove le foglie, che – loro malgrado – scivolano via dagli alberi, se ne vanno lontano, come i ricordi della povera Mietta, che confonde le epoche, i luoghi, le persone.  

Anita sta rovesciando il barattolo dei pelati nella padella unta e sembra quasi percepire quei suoni, come una voce incantata che arriva da lontano, come i lamentosi canti delle madri, i cui figli partivano per la guerra. Sorride in modo triste e sposta lo sguardo verso la poltrona vuota, dove Mietta era solita sedersi, mentre aspettava il pranzo. La sua assenza le porta alla mente quando un tempo sapeva ancora guardarla, capirla, amarla e la ammirava con il cuore scalpitante d’orgoglio. 

Aggiusta di sale, assaggia. Si muove e sembra danzare, è in armonia con le proprie azioni. La pasta è al dente, la salsa di pomodoro è cremosa e insaporita dal guanciale croccante e dalla pungente sapidità del pecorino. Ha l’acquolina in bocca, lo stomaco gorgoglia. Ammira la scodella fumante e arriccia i bucatini, divertendosi, sporcandosi, assaporando ogni singola forchettata, il calore del cibo che diventa parte del suo organismo, nutrendolo, arricchendolo di emozioni positive. 

Pasta all’Amatriciana 

(bucatini, gnocchi, rigatoni, mezze maniche…)

  • Pomodori pelati 350gr 
  • Guanciale 100gr
  • Pecorino di Amatrice o romano 35gr
  • Sale e pepe q.b.

(Queste sarebbe una dose all’incirca per due persone, ma trattandosi di una ricetta semplice, in cui le quantità non vanno ad inficiare il risultato, consiglierei di seguire la regola “a sentimento”. Vi piacciono i sughi abbondanti che lasciano la possibilità di scarpettare copiosamente a fine pasto? Aumentate i pomodori. Adorate l’aroma inconfondibile del guanciale ben arrostito? Allora mettetene di più. La pioggia di pecorino è incessante? E voi lasciatela cadere finché ne ha voglia!)

Tagliate il guanciale a listarelle (mi raccomando: no, pancetta; così come no olio, no cipolla, no parmigiano o altre diavolerie che deviano dalla purezza della tradizione) e mettetelo in una padella o un tegame con i bordi abbastanza alti (qui si dovrà poi cuocere il pomodoro): fiamma bassa, lasciando che il grasso si strugga e frigga il guanciale, finché non risulterà “abbronzato” e croccante. A questo punto va scolato dall’unto e messo da parte, su carta assorbente. Adesso è il momento dei pelati, che facciamo cuocere nel grasso del guanciale, dopo averlo filtrato ed eventualmente ridotto di quantità (nel caso sembrasse eccessiva). Aggiustiamo di sale, aggiungendo anche un po’ di pecorino grattugiato. Scoliamo al pasta al dente (o con qualche minuto in meno di cottura, se vogliamo risottarla nel sugo) e la saltiamo con la nostra salsa di pomodoro. Il guanciale possiamo metterlo interamente nel sugo oppure lasciarne metà da aggiungerle nel piatto al momento di servire, insieme ad un’abbondante spolverata di pecorino. 

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