Questo articolo fa parte di una “trilogia” di interventi che riguarderanno la figura del caregiver e non solo.

La recente legge di bilancio ha nuovamente messo mano a questo istituto, già approfondito sotto vari profili non solo normativi e che tutti conosciamo perché, bene o male, siamo incappati nelle difficoltà -ma anche nelle gioie – di interfacciarci con situazioni di vulnerabilità.

Vi proponiamo quindi una riflessione a 4 mani, dalla parte di chi quotidianamente testimonia  la possibilità di affermare la qualità della propria vita e di chi individua nel dato normativo uno strumento di tutela dei soggetti coinvolti in situazioni non sempre riconosciute dalla comunità di appartenenza.

La figura del caregiver

Caregiver

La figura del caregiver familiare (letteralmente “prestatore di cura”) individua la persona responsabile di un altro soggetto dipendente, anche -ma non solo- disabile, di cui si prende cura in un ambito domestico. Si tratta del/la responsabile che organizza e definisce l’assistenza di cui necessita una persona, anche congiunta; in genere è un familiare di riferimento. Si distingue dal caregiver professionale (cd. badante), rappresentato da un assistente familiare che accudisce la persona non-autosufficiente, sotto la verifica, diretta o indiretta, di un familiare.

Il profilo del caregiver viene delineato normativamente per la prima volta dalla legge di bilancio 2018 (articolo 1, commi 254-256). Precisamente, la norma definisce il caregiver familiare la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto ai sensi della L.76-2016, di un familiare o di un affine entro il secondo grado, ovvero, in presenza di un handicap grave, di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sè, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata , o sia titolare di indennità di accompagnamento.

Attualmente, oltre alle tutele sotto il profilo giuslavoristico, esistono due fondi con risorse pubbliche diretti al sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare.

L’esperienza concreta, tuttavia, ci mette di fronte a realtà in cui il caregiver, familiare o professionale, e prima ancora l’assistito, si interfacciano -per scelta e necessità- con altre figure che -laddove l’impianto sociale lo consenta – affiancano e dovrebbero garantire l’inclusione nella comunità di riferimento.

Gli assistenti sociali si occupano concretamente di favorire l’inclusione delle persone vulnerabili attraverso la predisposizione di servizi e interventi efficaci. Erroneamente quindi spesso vengono individuati come una realtà astratta slegata dal vissuto quotidiano degli assistiti: anzi, integrano proprio il legame tra soggetto e socialità. Resta un dato di fatto che, anche chi opera all’interno del ‘sistema’, a volte si scontra con una carenza dal punto di vista del passaggio, ormai necessario, dal punto di vista individuale al punto di vista collettivo. Ed allora, la figura ‘pubblica’ dell’assistente sociale, può davvero fare la differenza, diventando un alleato delle famiglie per tessere quel complesso legame tra comunità e singolo. 

Di seguito, l’esperienza di Margherita Rastiello che, negli anni, ha avuto modo di confrontarsi con diversi modi di essere assistente sociale.

Assistenza e indipendenza: una linea sottile

Caregiver

Attorno alla disabilità e alle sue mille sfaccettature ruotano molte figure, quasi fossero satelliti.

Sia che si tratti di una disabilità che ti accompagna per tutta la vita, ( il mio caso e delle DisabilmenteMamme di cui faccio parte) sia che la disabilità bussi alla vita in un secondo tempo.

Famiglia, terapisti assistenti di vario genere, a seconda della necessità tra cui l’assistente sociale.

Ho visto molte assistenti sociali, del mio comune o negli ospedali, nei centri di fisioterapia.
Mi sono interfacciata con loro… Da bambina in modo naturale, da ragazzina chiedendomi ma davvero serve?
Ora che da adulta sono più consapevole la domanda sulla loro utilità ha trovato risposta.

Sicuramente un lavoro importante, quello che si svolge per il sociale…Ma capita molto spesso che disabilità e assistenza sociale non remino dalla stessa parte, si è su barricate opposte.
Si sente il peso di doversi rivolgere a questo servizio che pure è un diritto… ci si sente deboli e anche agli occhi degli altri passi per disagiato.

Se da mamma chiedo qualcosa, mi domando che impressione dò del mio essere genitore?
Indeboliscono il mio ruolo?
Perdo la mia Indipendenza, quella sicurezza che ogni persona guadagna ogni giorno?
Si ha paura è questo il punto e si preferisce stare lontani il più possibile.

Ecco qui nasce la domanda che vorrei condividere e lasciare a chi legge…

Ma l’assistenza sociale non dovrebbe aiutare a migliorare la vita e arrivare all’indipendenza e sicurezza di un nucleo familiare se pur con la presenza di una disabilità?

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