Con questo articolo voglio aprire uno spiraglio sulla mia vita di mamma/studente.

In altri articoli ho forse solo sfiorato l’argomento, ora mi vorrei soffermare un attimo di più.

Non sono esperta ma gli anni sui libri mi danno il diritto di parlarne, per ciò che mi hanno lasciato e per ciò che ho portato fuori nella vita di ogni giorno.

Inizio proprio della definizione di ciò che significa educare (ricordo che io studio scienze dell’educazione).

Educare, dal latino educěre, «trarre fuori», «tirar fuori ciò che sta dentro». Come si fa anche nella ricerca di un diamante, chiuso da secoli nella vena buia della pietra.

Diamante rosa su sfondo grigio
“Ogni persona è un diamante ed è unico. Ed è quello che l’educazione deve tirar fuori.”

Il diamante non esce dalla miniera intero e luccicante.

Va diviso, segnato, lavorato, ridotto in un frammento più piccolo per essere ancora più lucente.

La terra stessa ci aiuta a tirar fuori bellezza.
Pensiamo ai fiori che vengono modellati e curati dal giardiniere, l’uomo è sempre collaboratore e spettatore di un processo. La sua bellezza deve tutto all’uomo.

Mai più.
Mai più per il desiderio altrui, se non condiviso.
Mai più in luoghi a me non affini,
dentro abitudini non mie,
a pronunciare improbabili “non fa niente”.
Mai più i sì quando avrei dovuto dire di no.
Mai più, solo per un’educazione dovuta.

Fabrizio Caramagna

Ecco quando entri in facoltà è più o meno così che ti raccontano il mestiere dell’educatore, mestiere che io vedo più come missione.

Una missione che ho capito nel tempo va rivolta prima verso noi e poi casomai se ti senti pronto verso la persona, ragazzo o bambino che incontrerai..

Si forma un bimbo, si forma l’adulto si forma e riforma l’anziano fin quando avremmo la capacità di fare domande e avere dubbi.

In pedagogia è normale affrontare dei capi saldi come Jean-Jacques Rousseau e il suo romanzo pedagogico “Emilio o dell’educazione”.
Il bambino immaginato da Rousseau cresce in campagna, secondo natura, con ritmi lenti, apprendendo dall’esperienza, acquisendo le conoscenze giuste al momento giusto, evitando ogni pericolosa anticipazione cui conseguono solo insuccessi, vivendo il più a lungo possibile la propria infanzia.

Quando lo affrontammo  mi interrogai molto su questa sorta di isolamento che serve per preservare l’infanzia.
Vivendo in un paesino, mi sono sentita come Emilio ma da adulti bisogna anche affrontare ciò che può scalfire le nostre sicurezze e tenere dentro noi quello che di buono ci porta l’infanzia .

Come nell’Emilio di Rousseau, a parer mio un modo per preservare la nostra infanzia è tenere un angolo dove rientrare quando la realtà si fa pesante o avvelenata.

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8 thoughts on “Educare: le riflessioni di una studentessa”

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