Nel mese di luglio ho deciso di visitare l’Indonesia, un paese che non conoscevo e che da sempre mi ha incuriosito. Visto che questo stato-arcipelago conta più di 17.000 isole, dire “ visitare l’Indonesia” è un po’ vago. Bisogna fare per forza delle scelte e io ho deciso un percorso che comprende  Giava, Bali e un gruppo di isolette, le Isole Gili. Comincerò a raccontarvi di Giava , una delle quattro Grandi Isole della Sonda, la più piccola per estensione territoriale, ma la più popolosa con i suoi 140 milioni di abitanti, che si trova tra Sumatra e Bali ed è bagnata a sud dall’Oceano Indiano e a nord dal Mar di Giava.

Vi racconterò della sua bellezza, ma anche delle problematiche che ho incontrato e che mi hanno fatto riflettere sull’impatto del turismo su questi paesi (rileggete l’articolo su Extrawonders https://extrawonders.it/2023/04/26/vacanze-2023-le-migliori-destinazioni-da-evitare/ per capire meglio il problema) 

Yogyakarta : i templi

Arriviamo in aereo a Yogyakarta, il centro della cultura e dell’arte giavanese nella parte sud est dell’Isola, dopo quasi due giorni di viaggio. Abbiamo deciso di saltare Giacarta, la capitale, perché si tratta di una metropoli frenetica, abitata da circa 10 milioni di persone e non è un’immersione di massa che mi interessa in questo viaggio.  Il nostro incontro con la cultura giavanese inizia una  quarantina di km fuori dalla città dove sorgono una serie di templi buddhisti/induisti del IX secolo d.c. Per uscire dalla città ci vuole parecchio tempo a causa del traffico intenso che si riversa nelle sue strade. Fiumi di macchine e motorini ci ricordano quanto l’isola sia densamente popolata.

La prima sosta la facciamo al Borobudur Temple, Patrimonio dell’Unesco, uno dei più grandi templi buddhisti al mondo, costruito tra due vulcani gemelli che negli anni hanno creato problemi al tempio con varie eruzioni fino a ricoprirlo completamente con la cenere  e preservarlo fino a metà dell’ottocento quando fu completamente riportato alla luce. E’ formato da una serie di piattaforme una sull’altra a formare una sorta di piramide a gradoni che vista dall’alto disegna un mandala incredibile. E’ splendido!  Ci giriamo attorno ammirando i  bassorilievie le decorazioni con  scene della vita del Buddha, le statue del Buddha dentro le nicchie  e gli stupa contenenti statue in meditazione nella posizione del loto. E’ imponente e incredibile !

Palosan Temple

Ne visitiamo altri più piccoli che si trovano in quest’area come il Pawon Temple, tempio buddista dello stesso periodo anch’esso decorato con numerose sculture che ci accoglie con una gigantesca statua colorata rappresentante l’ingordigia, il Mendut Temple  o il Palosan Temple costituito da due templi gemelli. Tutti sono in pietra scura lavica e sono attorniati da numerose rovine dovute agli innumerevoli terremoti ed eruzioni vulcaniche a cui l’isola è soggetta.

E poi arriviamo all’altra meraviglia , il Prambanan Temple, anch’esso Patrimonio dell’Unesco, è un complesso di templi induisti che si estende per chilometri  costruito all’incirca nell’850 d.C. Si pensa  che in origine ci fossero 232 templi nel complesso, ma non si hanno certezze perché a metà del 1600 un terremoto devastante rovinò parte delle strutture ricostruite inseguito e ridanneggiate da un terremoto nel 2006. I tre templi principali sono dedicati a Brahmā, Visnù e Shiva.

Sono splendide strutture slanciate verso l’alto ricoperte da bassorilievi molto lavorati che  raccontano la storia del Ramayana , uno dei più grandi poemi epici dell’induismo . Nelle camere interne si trovano  statue delle divinità indù . Un sito enorme e affascinante in cui si rimane veramente a bocca aperta davanti agli innumerevoli intarsi, statue e ornamenti che sapienti mano sono riuscite a ricavare da questa pietra scura!

“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi” 
Marcel Proust

Yogyakarta : il caffè Kopi Luwak

Tra un tempio e l’altro ci fermiamo per un caffè  ai bordi di una piantagione per scoprire la particolarità dello kopi luwak , un tipo di caffè prodotto con chicchi di bacche ingerite (e solo parzialmente digerite) e poi defecate dallo zibetto. Pare che nel novecento, quando l’Indonesia era una colonia olandese, alle persone che lavoravano nelle piantagioni era vietato il consumo del caffè. Così iniziarono a recuperare, lavorare e consumare le bacche di caffè ingerite e defecate dallo zibetto. Poi iniziarono a consumarlo anche gli olandesi perché gradirono il particolare sapore.  

Lo zibetto delle palme
Lo zibetto

Ora la diffusione e l’aumento della richiesta ne hanno aumentato il prezzo in modo assurdo (credo che solo l’uomo sia capace di pagare a peso d’oro chicchi ricavati dalla cacca di un animale !!) così sono sorti allevamenti intensivi di zibetti tenuti in gabbia in batteria e alimentati forzatamente., Qui ci dicono che il loro è solo da zibetti in libertà, non so se sia vero comunque siamo qui e per curiosità lo assaggiamo. Devo dire che è un buon caffè, ma non avverto fragranze particolari che possano giustificarne il costo e meno che meno l’assurdo sfruttamento.

Verso est

La prossima destinazione è Surabaya nella parte più a est dell’isola da cui poi  raggiungere le pendici del Monte Bromo. Per evitare la lunga tratta in macchina e soprattutto il traffico intenso prendiamo un treno veloce che ci porterà a Sukapura. La stazione si rivela efficiente, il treno nuovo e pulitissimo e così le quattro ore passate tra letture e panorama sono veramente piacevoli. Il treno attraversa cittadine e una campagna fertile dove i contadini sono immersi nelle risaie a lavorare.

La maggioranza della popolazione di Giava è mussulmana e lo si vede attraversando i villaggi: ogni gruppo di case ha la sua moschea alcune veramente immense rispetto alla dimensione del villaggio.

Arrivati a destinazione prendiamo la macchina e iniziamo a salire verso la zona del Bromo. I campi di riso lasciano lo spazio alla foresta. Un tornante dietro l’altro attraversiamo foreste e tratti di campi ricavati sulle ripide pareti delle montagne. Arriviamo così nel primo pomeriggio al piccolo villaggio di Lawang dove pernotteremo.

Ci guardiamo un po’ in giro facendo due passi  e ci dirigiamo dove si sente della musica. C’è un matrimonio e la relativa festa tradizionale a cui partecipa tutto il villaggio e in cui si esibiscono danzatori in costumi coloratissimi. Sembrano rappresentazioni di storie, di lotte tra il bene e il male danzate al suono di una musica quasi catatonica.

Il Monte Bromo

Vista del Monte Bromo all'alba
Monte Bromo

Il nostro programma di viaggio prevede una salita al Monte Bromo, un vulcano attivo di  2392 metri,  per vedere l’alba. Ci alziamo alle tre di notte e con una jeep cominciamo a salire verso uno dei punti da cui si dovrebbe avere una visuale sul vulcano all’alba. Dopo poco ci rendiamo conto di essere nel mezzo di  una lunga coda di jeep che salgono. Sono tantissime e cominciamo a pensare di non aver fatto la scelta giusta. Ci vuole un’ora circa per arrivare in cima e parcheggiare tra mille altre auto che sgasano e impestano l’aria. Poi in mezzo ad una folla prevalentemente di indonesiani (il problema qui non è tanto il turismo straniero, ma quello interno) ci avviamo a piedi ad un punto panoramico e aspettiamo che la prima luce illumini la montagna.

Quando succede sicuramente lo spettacolo è affascinante e magico, ma la folla e il rumore toglie tutto il romanticismo del momento. Non si può parlare di escursione naturalistica in mezzo a migliaia di persone e soprattutto respirando i gas di scarico di centinaia di auto!  Il ritorno è altrettanto caotico e assurdo. Ci troviamo imbottigliati in un lungo ingorgo macchine che cercano di scendere dalla montagna.

Ci rendiamo conto di come si debbano ripensare i viaggi tenendo conto del turismo di massa (in Asia è soprattutto turismo locale che data la densità di popolazione diventa massivo) che rende tutto difficoltoso e soprattutto mette a repentaglio ambienti naturali come questo. Nell’organizzare il nostro viaggio avevamo letto molto per scegliere i luoghi da visitare e non avevo trovato nessuno che mi descrivesse la realtà di questa escursione. Solo splendide foto di albe meravigliose. Perché? Credo che si dovrebbe cercare di gestire meglio questo tipo di escursioni magari con numeri limitati e solo con trekking a piedi per evitare inquinamento e ressa e preservare un ambiente così incredibile.

 Parco Nazionale di Ljen

Ripartiamo per spostarci verso il Parco Nazionale di Ljen dove si trova il complesso vulcanico di Kawah Ljen. Per arrivarci scendiamo dalla zona del Monte Bromo  fino a raggiungere le coste del Mar di Giava tra impianti termo elettrici e foreste di mangrovie. Poi ricominciamo ad inerpicarci tra le fitte foreste di giganteschi alberi di tek e piantagioni di caffè. Raggiungiamo la foresta pluviale che fa parte del Parco e, percorrendo una stretta strada sassosa, l’albergo dove pernotteremo. La zona è splendida immersa nelle risaie terrazzate di un verde intensissimo! Diamo un’occhiata al paesaggio, ceniamo e poi a letto presto perché domani ci aspetta un’altra levataccia.

Sveglia alle due e tratto in macchina per raggiungere il luogo dove inizia il trekking che ci porterà a circa 2.883 m di altitudine. Ci vogliono più di due ore di strada abbastanza impegnativa per raggiungere il bordo del cratere dove aspettiamo l’alba. Forse la salita a piedi scoraggia la folla o forse lo spazio attorno al cratere è vasto e la gente si sparpaglia, ma per fortuna qui ci si può godere in pace la natura. Piano piano la luce rischiara il cielo e si intravede il lago  craterico, riconosciuto come il più grande lago acido nel mondo perché le sue acque contengono altissimi livelli di acido solforico.

In teoria si può scendere  fino all’interno per vedere le fiamme blu rese famose da un servizio apparso sul National Geographic. In realtà si tratta di una reazione tra l’aria e le emissioni solforose che arrivano in superficie e rendono le fiamme che si sprigionano di colore blu. Ci sembra abbastanza pericoloso anche bisogna scendere con maschere antigas vecchie e datate e perciò ci limitiamo a guardare lo spettacolo da sopra mentre l’alba piano piano colora tutto il cielo.

Mentre ammiriamo questa bellezza però bisogna sapere anche che ogni giorno una squadra composta da uomini e donne lavora per estrarre lo zolfo presente, rischiando continuamente la morte a causa della presenza di gas e vapori altamente tossici: si stima che ciascuna di queste persone trasporti quotidianamente sulle proprie spalle materiale per un peso totale di circa 70 kg.. E inoltre l’acidità del lago ha un impatto altamente negativo sugli ecosistemi fluviali nelle vicinanze, tra cui il fiume Banyupahit.

Verso Bali

I nostri giorni a Giava sono terminati (c’è ancora molto da vedere, ma si devono fare delle scelte) perciò ci dirigiamo verso la costa a Batunwa per prendere il traghetto che ci porterà a Bali. Il traghetto piano piano lascia la costa e quest’isola lussureggiante, terra di vulcani, molti dei quali attivi, ma proprio per questo terra fertile e rigogliosa.

Durante il mio viaggio tra gli altri  ho letto il libro “La bellezza è una ferita” dello scrittore indonesiano Eka Kurniawan, ambientato sull’isola di Giava, nella cittadina immaginaria di Halimunda. Il racconto mentre narra la saga familiare di Dewi Ayu attraversa quasi sessant’anni di storia indonesiana; dal periodo dell’avidità del colonialismo olandese, all’occupazione giapponese durante la seconda guerra mondiale, alla liberazione da parte degli Alleati, fino dall’eccidio di quasi un milione di comunisti nel 1965 e alla tirannia di Suharto. Tutto il libro sembra surreale, popolato da decine di personaggi, di fantasmi, di miti, di storie sovrannaturali immerse nei villaggi e nelle foreste dell’isola.

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11 thoughts on “Nel cuore dell’Indonesia : Giava”

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