
L’anno scorso ci siamo ritrovati a fronteggiare una siccità senza precedenti. Di fronte alla possibilità di razionamento di acqua, io ho avuto paura. Eppure, mi sono detta, non consumo poi così tanta acqua. Quanta me ne dovrebbe servire al giorno? Un paio di litri da bere, un litro per cucinare la pasta, che non mangio neanche tutti i giorni. E poi la doccia, che preferisco al bagno. Sì, sapevo già che la doccia consumasse molto meno del bagno quindi mi sentivo a posto. Chiudo persino il rubinetto quando mi lavo i denti.
Da un’analisi più approfondita dei miei consumi, mi sono resa conto che l’acqua di cui ho bisogno è molta di più. Ci sono tante fonti d’acqua a cui non facevo caso e di cui non ero a conoscenza. Anzi, l’Italia è tra i paesi europei che sfrutta maggiori quantità di acqua potabile.
Finora, questo non rappresentava un problema, l’acqua in Italia era abbondante, pulita, facile da estrarre. Del resto, parliamo di consumi ma l’acqua non si consuma, mediante il ciclo dell’acqua passa semplicemente da un sistema all’altro. Il problema è che questo ciclo perfetto è ora fortemente sbilanciato: consumiamo più acqua di quanta riesca a ricaricarsi nel sottosuolo. Siamo voraci, abbiamo imparato ad usare l’acqua per tantissimi impieghi e ne abbiamo sempre più bisogno. Tuttavia, l’acqua resta sempre la stessa. E intanto, non piove. Abbiamo parlato della siccità dello scorso anno in questo articolo, ma le previsioni per il 2023 non sono migliori: secondo le stime, dovrebbe piovere per 50 giorni nelle regioni nord occidentali per recuperare il deficit idrico che continuiamo ad accumulare.
Di fronte alla paura di una riduzione drastica, viene da pensare a quanto l’acqua sia fondamentale per la vita e quante attività ne richiedono ingenti quantità.
Acqua che consumiamo direttamente
L’Italia è tra i paesi europei che con il maggior prelievo di acqua potabile, proveniente soprattutto dal sottosuolo: acque sotterranee, sorgenti e pozzi, che finora hanno rappresentato la risorsa più preziosa di acqua dolce.
Le differenze nella quantità di acqua dolce che i diversi Stati europei prelevano per l’approvvigionamento idropotabile dipendono sia dalle risorse idriche disponibili, dalla domanda, dalle modalità di prelievo, ma anche dal clima e dalle attività agricole e industriali che incidono sulla rete acquedottistica urbana. Inoltre, condizioni nazionali specifiche possono influenzare i volumi, tra queste il sistema delle infrastrutture e l’entità delle perdite nella rete idrica.
C’è infatti da precisare che quasi la metà dell’acqua immessa in rete è persa: ogni 100 litri immessi nel sistema, 42 non raggiungono i nostri rubinetti. Quando poi l’acqua arriva agli utenti finali, viene utilizzata per la maggior parte per lavarsi e lavare: doccia e bagno, lavaggio delle stoviglie, lavatrici, pulizie domestiche. Infine, una parte è impiegata per innaffiare piante e giardini.
Quanta acqua richiedono le nostre attività quotidiane? Ecco alcune indicazioni.
- Lo scarico del wc può richiedere tra i 6 e i 12 litri, a seconda del tipo di scarico, se singolo o doppio;
- Una doccia di 10 minuti consuma circa 80 litri;
- Riempire la vasca da bagno: a seconda della vasca, 100-160 litri;
- Lavatrice: 40-50 litri;
- Lavastoviglie: 24 litri;
- Lavare i piatti a mano: 40 litri;
- Condizionatore: 190 litri;
- Innaffiare il prato: 200 litri;
- Lavarsi i denti: con il rubinetto aperto: fino a 10 litri; con il rubinetto chiuso: 6-7 litri; con un bicchiere: mezzo litro.
- Lavarsi le mani: 5 litri.
Non dimentichiamo che tutta l’acqua che giunge nelle nostre case è potabile: cioè, spendiamo energia per pomparla, filtrarla, disinfettarla e renderla abbastanza sicura da bere, ma poi la usiamo per innaffiare il prato o lavare la macchina. Per questo motivo, ci sono iniziative che suggeriscono l’impiego di fonti diversificate di acqua, come l’acqua di prima falda, cioè quella non abbastanza pura da poter essere bevuta, ma che si presterebbe bene ad altri impieghi. Questo è già realtà in paesi dove l’acqua è scarsa, e da cui potremmo imparare a conservarla.
Cosa possiamo fare per risparmiare acqua?
Sicuramente un ottimo punto di partenza è la corretta manutenzione del proprio impianto idrico, sistemando prontamente rubinetti che gocciolano e utilizzando riduttori di flusso. Usare una bacinella invece dell’acqua corrente aiuta non solo a sprecare meno acqua, ma anche a rendersi conto del tempo richiesto per riempirla e, di conseguenza, del volume di acqua che usiamo. Questa semplice attività potrebbe aiutarci a trovare soluzioni per utilizzare l’acqua in maniera efficiente, senza neanche dover fare grandi sforzi.
Acqua che non vediamo, ma consumiamo
Abbiamo visto come risparmiare l’acqua che arriva nelle nostre case, eppure questo rappresenta solo una piccola quantità dell’acqua che impieghiamo complessivamente. Un aspetto frequentemente sottovalutato è il contributo della stessa produzione di acqua al consumo di risorse d’acqua dolce. Cioè, per la stessa produzione di acqua è necessaria altra acqua, ed è possibile valutarne la quantità durante la produzione e l’approvvigionamento.
In realtà, per produrre qualsiasi tipo di bene o servizio consumiamo acqua.
Questa acqua è definita virtuale perché è l’acqua che non vediamo nel prodotto, servizio o processo. Nonostante l’acqua virtuale spesso passi inosservata, è proprio l’acqua che è stata consumata in tutta la catena del valore, che rende possibile la creazione di tale prodotto o servizio.
Presi insieme, tutti i passaggi in cui viene utilizzata acqua rappresentano la totalità dell’acqua necessaria per ottenere un prodotto finito per i consumatori. Questa somma è l’acqua virtuale.
Questo concetto si può applicare a tutti i beni o servizi che consumiamo quotidianamente. Prendiamo ad esempio un indumento: l’acqua che impieghiamo per lavare i nostri indumenti in lavatrice è l’acqua diretta, di cui abbiamo parlato prima, pari a circa 140L per ogni carico. Ma c’è un’aliquota nascosta, che è l’acqua utilizzata per produrre tale indumento: l’acqua è necessaria in molti punti lungo la catena del valore di quel bene, pensiamo ad esempio all’acqua per perforare, produrre e raffinare il petrolio, se di nylon, o per annaffiare la pianta di cotone, l’acqua per produrre l’elettricità per la produzione dell’indumento, l’acqua per il carburante che alimenta i veicoli che trasporteranno l’indumento al negozio.
Il concetto di acqua virtuale è stato inizialmente concepito come un modo per capire come i paesi con stress idrico potrebbero garantire ai loro abitanti adeguate forniture di cibo, abbigliamento e altri oggetti ad alta intensità di acqua. Poiché molti beni e servizi sono scambiati globalmente, i paesi poveri d’acqua, importando beni da altri paesi, si affidano alle risorse idriche dei paesi esportatori per soddisfare le loro esigente di prodotti di consumo. Allo stesso modo, importare beni ad alta intensità di acqua, come il cotone, significa che tali coltivazioni non peseranno sulle condizioni idriche locali. In altre parole, altri paesi pagheranno le spese in termini di risorse idriche, ma anche di danni ambientali, per la produzione di un bene che verrà consumato altrove.
Cosa possiamo fare per risparmiare acqua?
Il calcolo dell’acqua virtuale è un’operazione piuttosto complessa: bisogna capire quanta acqua è stata utilizzata per produrre, imballare e trasportare un prodotto. Non essendo direttamente presente nel bene, richiede delle stime in merito al possibile quantitativo d’acqua usato in tutte le fasi.
Oggi però esistono dei calcoli abbastanza precisi in merito all’acqua virtuale e all’impronta idrica, eseguiti da ricercatori e organizzazioni specializzate come Water Footprint Network. Sul sito è possibile trovare dei dati attendibili e anche calcolare la propria impronta idrica.
Non dimentichiamo che molta dell’acqua che consumiamo quotidianamente è impiegata per produrre il cibo che mangiamo.
Acqua che mangiamo
Anche il cibo che mangiamo prevede un consumo diretto e indiretto di acqua. Prendiamo un piatto di pasta: l’acqua richiesta per bollire la pasta rappresenta l’uso diretto di acqua. Ma, per produrre la pasta, è necessaria acqua lungo diverse fasi della catena di produzione: acqua per annaffiare e far crescere il grano, per produrre il combustibile per i trattori per raccoglierlo, acqua per trasformarlo in farina e poi in pasta e trasportarla in negozio, acqua per produrre l’elettricità per alimentare lo stabilimento di produzione.
Sembra strano, ma la richiesta di acqua del settore alimentare è tra le più alte, rispetto ad altri settori, e ciò è dovuto principalmente all’elevata richiesta di acqua per l’agricoltura. Non a caso, gli effetti più devastanti della siccità dello scorso anno si sono abbattuti su questo settore: scarsità di latte, aumento del prezzo degli alimenti, perdita di alcune coltivazioni.
In questo caso, parliamo per facilità di impronta idrica: quest’ultima rappresenta tutta l’acqua utilizzata durante tutto il ciclo di vita di un prodotto, un processo o un servizio, quindi sia l’acqua diretta sia l’acqua indiretta. Pertanto, l’acqua virtuale è una parte dell’impronta idrica totale di un qualsiasi prodotto, processo o servizio.
Ci sono diversi modi per calcolare l’impronta idrica, che possono darci un’indicazione dell’impatto ambientale di ciò che mangiamo. Non possiamo smettere di mangiare, ma possiamo iniziare a farci delle domande su cosa mettiamo nel piatto, ogni giorno. Scegliere consapevolmente, infatti, è davvero il modo più efficace per ridurre il consumo di acqua. Non dobbiamo smettere di mangiare nessun alimento se ci piace, ma è sufficiente, nei limiti del possibile, preferire più spesso alimenti con impronta idrica minore.
Quali sono gli alimenti che richiedono meno acqua? Riportiamo di seguito alcuni dati:
- Una mela: 125 litri (150 g);
- Una banana: 160 litri (200 grammi);
- Un chilo di patate: 290 litri;
- Un chilo di riso 1.670 litri;
- Un chilo di pollo 4.325 litri;
- Un chilo di maiale 5.990 litri;
- Un chilo di salmone: 2 litri;
- Un chilo di crostacei: 2-2,5 litri;
- Un chilo di carne bovina: 15415 litri;
- Un chilo di frutta secca: 9063 litri;
- Un chilo di legumi: 9063 litri;
- Un chilo di latte bovino: 1020 litri;
È evidente che molti alimenti di origine vegetale abbiano un consumo idrico inferiore, soprattutto in relazione alle quantità. Pensiamo a quanti pasti potremmo fare con un kg di riso, rispetto a un kg di maiale. Tuttavia, non possiamo e non dobbiamo diventare tutti vegetariani, sebbene un’alimentazione vegetale comporti numerosi benefici e ne abbiamo parlato a gennaio con la dottoressa Silvia Goggi. Questi dati dovrebbero aiutare ad acquisire consapevolezza sul fatto che il nostro sistema alimentare abbia una falla: mangiamo tanto, troppo, spesso ponendoci poche domande.
Eppure, non tutti gli alimenti di origine animale hanno lo stesso impatto idrico. Poiché l’impronta idrica rappresenta l’acqua utilizzata durante tutta la vita dell’animale, dunque l’ acqua per bere, mangiare, per irrigare i campi per produrre mangimi. È indubbio che l’agricoltura sia il settore più idrovoro, perché la produzione di mangimi per animali richiede vaste aree di quelle che potrebbero essere utilizzate per produrre cibo per gli esseri umani. La conversione è molto bassa e, da ingegnera, mi sembra un processo davvero poco efficiente.
Tuttavia, possiamo dire che gli animali più impattanti, sia in termini di richiesta idrica sia di emissioni climalteranti, siano i ruminanti: bovini, caprini, ovini. Volatili come anatre, pollo, ma anche maiali, hanno un’impronta idrica minore. E questo è facilmente deducibile dalle loro dimensioni. Mentre i pesci, ad esempio, hanno una richiesta di acqua paragonabile ai cereali. E, visto che se ne parla tanto, i grilli non sono poi così male in termini di sostenibilità.
Cosa possiamo fare per risparmiare acqua?
Non dobbiamo vedere questi dati come un’imposizione, ma come uno strumento per avere maggiore consapevolezza sul nostro consumo di acqua. Grazie alla consapevolezza acquisita, ciascuno di noi potrà cercare di rendere la propria vita più sostenibile possibile. Sebbene le azioni del singolo possano avere un impatto, sì, soprattutto per influenzare la domanda ma anche per la propria salute mentale, è ingenuo pensare che siano i singoli a poter attuare la maggior parte dei cambiamenti. La siccità e la crisi climatica sono situazioni complesse per cui sono necessarie azioni globali a livello politico e gestionale. Noi possiamo fare del nostro meglio, partendo dalla nostra quotidianità.



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